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Lifestyle
southworking

Dove eravamo rimasti? Ah sì, il sindaco Beppe Sala, recentemente, aveva dichiarato: “Bello l’esperimento dello smart working, ma adesso è ora di tornare a lavorare”. Apriti cielo. Immediate per lui le critiche, anche dalla sua stessa Giunta, per una frase che in effetti è risultata alquanto infelice. Lo smart working non è lavoro? Non ha forse salvato il culo a tante aziende durante il lockdown?

In verità il nostro Sindaco si è semplicemente espresso male. Tornare fisicamente al lavoro è un modo per far girare l’economia rimasta troppo a lungo in stallo. Bar, ristoranti, benzinai, mezzi di trasporto e tutto ciò che era la nostra vita prima del Coronavirus. Quindi, ad esempio, anche asili, baby sitter, dog sitter, colf e tutto ciò che ci faceva spendere soldi mentre eravamo in ufficio. Lo smart working, però, ha iniziato a piacerci. Se all’inizio sembrava una pezza messa lì alla bell’e meglio per continuare a fatturare pure in quarantena, alla fine si è rivelata una soluzione produttiva, moderna, che ci ha permesso di risparmiare soldi e tempo.

Per questo motivo pensare di tornare alla vita di prima sembra ora parecchio difficile. Anche perché la discussione si è ampliata ancora di più. La ribellione vera riguarda chi ha scoperto il south working e non vuole più abbandonarlo. In sostanza il south working consiste nell’essere dipendenti di un’azienda al Nord, ma lavorare al Sud. Produrre come se fossimo in Cordusio e poi staccare e farsi un tuffetto al mare. Mandare mail, fare brief, collegarsi in video call e poi dedicarsi allo spaghettino alle vongole vista spiaggia. Chiaro no?

Sono in molti a immaginare il south working come una soluzione definitiva. Si lavora a Milano ma si spende al Sud. Si sostituisce l’aperitivo in Paolo Sarpi con un piatto di alici in Costiera Amalfitana. Del resto in molti casi per lavorare basta il wi-fi. I vantaggi sembrano tanti: la vita al Sud costa meno, si vive in una sorta di vacanza perenne, si ha più tempo libero da dedicare alla famiglia, al sole, al mare, alla pizza… quelle cose lì, dai, lo sappiamo.

Un vero Imbruttito dopo 15 giorni sentirebbe subito nostalgia di Milano, della tangenziale, dei tram, della frenesia, delle giornate di nebbia. Eppure… eppure sono in tanti a vedere nel south working il futuro. “Con gli strumenti che abbiamo, non c’è alcun bisogno della presenza in ufficio”, ha raccontato all’HuffPost Federica Caruso, siciliana, che lavora come legale per una multinazionale con sede a Milano. “La scorsa settimana ho anche fatto una riunione a fine giornata dalla pineta. Non cambia nulla se si lavora al Nord o al Sud. Non cambia di sicuro per la tua azienda. Ma cambia per te: puoi lavorare sotto un cielo azzurro e a due passi dal mare, con eventualmente la suocera che ti guarda i bambini. Ho lavorato molto meglio: sono stata più concentrata, e mi sono tolta in parte lo stress che avevo nel vivere in una grande città”.

Di materiale per riflettere sul south working ce n’è molto. C’è chi lo vede come un ritorno alla vita, un modo per lavorare senza diventare un cricetino nella gabbia che non sa più godersi il proprio tempo. C’è chi immagina questa non come una rivoluzione, ma come un’evoluzione del mercato del lavoro con la quale fare i conti. Ma c’è anche chi pensa che Milano meriti di più: che venire al Nord per lavorare e portarsi poi la grana al Sud sia, in sostanza, una vera bastardata.

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