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Food&drink
alberofioritopinucciareit

Ci sono posti, ormai scomparsi, che hanno fatto la storia di Milano e che rimarranno per sempre nei nostri cuori imbruttiti dal tempo: uno di questi è senza dubbio L’Albero Fiorito, una delle ultime trattorie di una volta che ha chiuso i battenti ormai quattro o cinque anni fa. Per chi non ci fosse mai stato, l’Albero Fiorito si trovava in via Pellizzone, dietro piazzale Susa, e non aveva nemmeno una vetrina: solo un portone d’ingresso, dietro una cancellata anonima. Un po’ nascosto, insomma! Non ci capitavi lì per caso, solitamente ti portava un amico che ne aveva sentito parlare da un altro amico, e via dicendo. Così è andata anche per me, in una serata di una decina d’anni fa, incuriosito dai mille racconti sul proprietario scorbutico e sulla particolarità del luogo.

Facciamo un po’ di storytelling, va là: il posto era gestito da Gianni e Pinuccia – che avevano ereditato la trattoria da papà Ernesto e mamma Maria – e appena varcata la soglia respiravi tutta l’atmosfera della vecchia Milano, quando ancora era mezza campagna, per intenderci. L’arredamento era rimasto fermo agli anni Settanta, con le pubblicità Cinzano e le tovaglie a quadretti rossi, e probabilmente anche il menù, dato che era uno dei posti più economici di tutta la città. I primi costavano €2.50, i secondi da €4.00 a €6.00 e i contorni €2.00, fino ad arrivare alla mela a 60 centesimi.

Più che una bettola, L’Albero Fiorito era proprio una trattoria di quartiere, un luogo genuino di aggregazione dove ci incontravi persone di vario tipo: pensionati, studenti, habitué o semplicemente simpatizzanti che volevano passare una serata diversa da tutte le altre. Il cibo non era né ottimo né pessimo, era una cucina normale d’ispirazione friulana, con zuppe di verdure, bolliti, formaggi fritti e carciofi ripieni. Le uniche regole a cui dovevi sottostare erano quelle di arrivare prestissimo, perché alle 21.30 circa chiudeva, dovevi inoltre accettare di cenare gomito a gomito con gli altri ospiti (non c’erano tavolini per cene intime, insomma!) e infine eri invitato a facilitare, il più possibile, il servizio al tavolo per non attirarti le ire della signora Pinuccia. Era un po’ come sentirsi a casa, in fondo, se conoscevi le regole. Altrimenti potevi passare una serata tutt’altro che piacevole!

Ricordo ancora che lo scontrino veniva fatto a mano su un pezzo di carta, magari sul retro dell’ordinazione, e con una veloce somma del Gianni che in cassa ti chiedeva, senza nemmeno salutare: “Hai preso solo questo?”. Il Gianni non era uno da grandi fronzoli, piuttosto schietto e allo stesso tempo istintivo come pochi. Se non gli andavi a genio, potevi essere bandito per sempre dalla sua trattoria; se invece gli stavi simpatico, ci scappava il grappino! Salute!

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