Han voglia a tranquillizzarci rispetto al fatto che l’intelligenza artificiale non ci fregherà il posto… Qui c’è già chi parla di Apocalisse del Lavoro! Mettiamoci dal punto di vista di un’azienda che possa scegliere se affidare la propria attività a un giovane inesperto e umano, con tutti i suoi limiti biologici (tipo stancarsi, bisogno di mangiare e distrarsi…), oppure se affidarlo a un meccanismo in costante miglioramento, sempre collaborativo e disponibile a imparare dai suoi errori, che per giunta non va mai né in ferie, né in pausa. Voi chi scegliereste?!
L’impresa titanica: entrare nel mondo del lavoro
Per chi si è appena laureato o diplomato, trovare un lavoro è stata un’impresa fino a qualche tempo fa. Adesso, è come partecipare a Squid Game. Il posto entry-level – quell’umile trampolino da cui un tempo si iniziava la carriera con una sana e formativa gavetta – è ufficialmente morto, schiacciato sotto il peso di prompt ingegnerizzati e dashboard aziendali che parlano con Alexa.
Uno studio di British Standards Institution, riportato dal Guardian, rivela che il 41% delle aziende in economie sviluppate (UK, USA, Germania e compagnia cantante) cerca prima un’AI piuttosto che assumere qualcuno in carne e ossa. Il diagramma di flusso che guida il business è più o meno questo:
- Serve qualcuno
- Vediamo se c’è un software che lo fa.
- Sì? Usiamolo. No? Allora assumiamo uno stagista.
- Ma non paghiamolo, mi raccomando.
È lo stesso Guardian a coniare il termine jobpocalypse, che in effetti rende bene l’idea.
Cosa dice lo studio
Secondo lo studio, il 39% degli oltre 800 manager intervistati in otto Paesi, ha ammesso come l’intelligenza artificiale abbia già iniziato a erodere i posti entry-level. E non finisce qui: il 43% prevede che altre posizioni junior verranno tagliate entro un anno. Ciò significa che per chi sogna di entrare nel mondo del lavoro, la porta d’ingresso si sta facendo sempre più stretta.
Il numero più spiazzante, però, è proprio quel 41% delle aziende che ha ammesso dichiara che, di fronte a nuove esigenze operative, la prima mossa è verificare se l’AI può fare il lavoro, e solo in un secondo momento si valuta l’assunzione di una persona. Un cambio di mentalità mica da ridere, che sta riscrivendo le regole del recruiting.
Lo studio lancia anche un allarme generazionale: chi entra ora nel mondo del lavoro — già penalizzato dalla scuola “ibrida” ai tempi del Covid e da un mercato che non regala nulla — rischia di non acquisire mai le competenze pratiche che un tempo si imparavano nei ruoli junior.
È quella che chiamano Generation Jaded: jobs automated, dreams eroded.
Il futuro è automatico, lo stipendio no
La previsione è chiara: entro il 2026 spariranno un bel po’ di ruoli base. Così, se eri convinto che avresti imparato qualcosa sul campo, magari con un contratto precario e un badge aziendale smagnetizzzato, forse è meglio che cambi orizzonti. Il 55% dei dirigenti ritiene che lo sfruttamento massiccio dell’AI per ruoli low profile sia un buon investimento: produzione e precisione sì, lamentele su Slack no. Certo, ogni tanto ha qualche bias razzista o sessista, ma chi non ha avuto un capo sboccato e ignorante che sguazzava nella cultura tossica senza nemmeno sapere che si chiamasse così?!
Molti dirigenti candidamente ammettono che loro stessi, se oggi dovessero iniziare da zero, verrebbero sostituiti da un software… ma tanto adesso che frega loro?! Stanno al sicuro, in cima alla piramide alimentare aziendale e fra guanciali imbottiti di paroloni come “thought leadership”, “change management” e “agility”. Voi invece siete carne da prompt.
Ah, la nostra cover è generata con AI, ovvio.









