La domanda non sorge spontanea, ma incuriosisce parecchio: che ca**o di fine hanno fatto i padiglioni di Expo?
Vi liberiamo subito dal dubbio con alcuni numeri: 17 ex padiglioni della grande esposizione del 2015 sono già stati ricollocati nei paesi d’origine. Un esempio su tutti? Il Cile e la Gran Bretagna. Il primo vivrà, infatti, a breve una nuova rinascita, diventando in patria un centro per il commercio equo solidale. Il secondo – il padiglione alveare – è stato invece posizionato a Londra, nei giardini botanici reali di Kew Gardens, come simbolo della vita delle api.
Il (ri)utilizzo dei padiglioni, però, non sempre è avvenuto all’insegna della continuità con Expo: è il caso, per esempio, del granaio 2.0 degli Stati Uniti, che sta per essere smontato del tutto (come i padiglioni dell’Ungheria e del Turkmenistan, gli ultimi in dirittura d’arrivo) e che finirà ad Amburgo in un centro commerciale. Anche lo spazio dell’Uruguay ha subìto un destino insolito: è finito a Origgio (Varese) e ha riaperto come ristorante. Pensa un po’ che fine… Mentre la struttura della Repubblica Ceca, invece, verrà trasformata in un centro direzionale in patria.
Non solo strutture intere, ma anche dettagli che in Expo hanno fatto la differenza: ve la ricordate quella figata della rete del Brasile? Acquistata all’asta per 100mila euro (!) dal Museo del Cane di Mondragone (in provincia di Caserta), doveva diventare un’attrazione per bambini e cani. In assenza, però, dei permessi del Comune, la rete è finita all’Ecoparco del Mediterraneo, uno spazio naturale di quasi 500.000 mq a Castel Volturno: tra resort, laghetti e sport acquatici, poteva sicuramente andare peggio.
Per il padiglione degli Emirati Arabi, infine, è attesa la ricostruzione nella città ecologica di Masdar City, voluta dagli sceicchi di Abu Dhabi e progettata dall’architetto Norman Foster. E il padiglione Italia? Sempre in area (ex) Expo… ovviamente!
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