Se Luigi Cagnola è un nome che non vi risuona all’orecchio, le cose sono due: o siete dei Giargiana, oppure è perché le orecchie le usate come conchiglie, solo per sentire il rumore del mare.
Ogni Imbruttito, sotto le opere del Cagnola, ci ha passato se non metà delle sue giornate, almeno buona parte delle sue serate. Perché? Se siete andati a fare un aperitivo all’Arco della Pace, già lo sapete.
Comunque, per quelli che hanno ceduto all’aperitivo ignorante e si sono dimenticati pure come ci si siede, ecco qui il momento Piero Angela del Milanese Imbruttito.
Luigi Cagnola è un architetto vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800, autore di alcune delle più grandi opere milanesi, come l‘Arco Trionfale di Porta Ticinese, costruito per celebrare l’ingresso di Napoleone in città, e l’Arco della Pace in fondo a Corso Sempione, che originariamente era stato fatto in legno a Porta Orientale (l’attuale Porta Venezia) quando il vicerè Eugenio nel 1806 fece il suo bel viaggio di nozze da Monaco a Venezia e passò per Milano.
Cosa hanno in comune questi monumenti? Tutti disegnati e realizzati da Luigi Cagnola.
Architetto? Mavvà. Laureato in Legge, aveva studiato a Roma e si era innamorato della bellezza monumentale della Capitale.
Praticamente, è come se io domani andassi al ristorante di Cracco, guardassi un risotto e il giorno dopo mi mettessi a fare lo chef a mille euro a forchettata (negli occhi, tra l’altro).
Praticamente, se fosse oggi, Cagnola si beccherebbe una bella denuncia per abuso di titolo e esercizio illegale della professione.
Ma evidentemente ai suoi tempi non era così. E infatti, la sua vita da architetto è cominciata una sera del 1786, quando fece girare per i palchi della Scala appena inaugurata i suoi disegni. Il Facebook di una volta, praticamente.
E tutti a dire «Uh, ma che bravo! Uh, ma che bello!» e giù applausi.
Ma da qui a fare dei veri e propri monumenti teoricamente ce ne passa, no? No.
Perché il Cagnola, profondo conoscitore dell’animo umano, quando gli hanno chiesto quanto fosse la sua parcella per realizzare i progetti, rispose: «Ma che soldi, io lavoro pro bono!»
E tutti a dire «Uh, ancora più bravo! Uh, ancora più bello!» e giù applausi.
La storia finisce qui. Ma cosa abbiamo imparato?
A Milano, non è bello ciò che è bello, ma è più bello ciò che è gratis.
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