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Non mi interessa se siete d’accordo o no: è universalmente incontestabile l’impatto che Federico Moccia, col suo c a p o l a v o r o letterario Tre metri sopra il cielo, ha avuto sulla – oramai âgées – nostra generazione. Avremmo preferito, naturalmente, l’impatto di un palo a 80 km/h, ma comunque: Moccia ci ha fatto sognare a occhi aperti.

Ad esempio: per tutte quelle volte che, all’uscita del liceo, abbiamo aspettato che ci venissero a prendere in moto. Indipendentemente da chi potesse venire: Luca Dirisio, il Gabibbo, il pescivendolo del mercato di Bonola; l’importante era la fuga in moto, anche solo per quindici metri.

Per tutte le volte in cui Babi ci ha insegnato che far le frigide il pomeriggio, e le troie dalle nove di sera, è il modus operandi grazie al quale si può arrivare da qualsiasi parte, addirittura a perdere la verginità all’interno di un casale abbandonato sul mare; e rimane un dettaglio futile che a vent’anni e passa, noi, di cose perse, abbiamo giusto la pazienza e la busta paga da Zara.

Moccia è stato anche un gran maestro di sofferenza: per tutte quelle lacrime versate sulla morte di Pollo, per Babi che decide di mollare Step, per i ceffoni che ci siamo presi da nostra madre perché avremmo voluto rubare il cane della prof al fine di ricattarla per il voto di merda in matematica. Ma l’adolescenza finisce e, con lei, anche il dramma generazionale provocato dalla visione del film. Cioè, sarebbe dovuto finire, terminare; o meglio ancora: speravamo di essercelo tolto dai maroni. E invece.

Federico si è dato da fare: ha scritto il sequel. Sfortunatamente non ha pensato che con gli alberi che hanno utilizzato per la stampa, avremmo preferito si costruisse una baita sul Monte Conero in cui darsi all’eremitaggio; Moccia ha aspettato che potessero essere trasformati in carta rilegata sulla quale stampare, pubblicare e diffondere come il Vangelo secondo Step: Tre volte te. Questo il titolo scelto. Come se dal lontano calcio nelle palle del 2004 fosse arrivato, in sordina, quello sui denti del 2017.

Ebbene sì: è già dal 2017 che il libro è stato pubblicato, e i personaggi caratteristici del precedente continuano con le loro marachelle. La trama ufficiale dice tutto: «Sono passati sei anni dall’ultima volta che Step ha incontrato Babi, la ragazza che prima gli ha fatto scoprire l’amore e poi gli ha spezzato il cuore. Adesso Step è una persona molto diversa ed è felice con Gin, la donna che ha perdonato i suoi errori e gli ha insegnato di nuovo ad amare. Ma ecco che, inaspettatamente, Babi torna come un tornado nella sua vita, e Step è costretto a riconsiderare tutte le sue scelte rimettendo di nuovo in discussione le proprie certezze…»

In pratica: Babi si era scordata di dover cagare il cazzo ancora per un po’.

Per quanto riguarda la trasposizione cinematografica del romanzo, c’è ancora da aspettare – fortunatamente; difatti, lo stesso Federico Moccia ha dichiarato di aspettare la conferma dei vecchi volti come Riccardo Scamarcio, al fine di poter continuare coerentemente la storia.
Che Riccardo Scamarcio stesso, non proprio il compagno di set di Charlize Theron, non si sia ancora mosso per poter iniziare le riprese, spiega perfettamente di cosa diamine stiamo parlando.

Sperando vivamente che Federico possa esaudire i propri desideri e ritornare in scena con clamore, per adesso, io mi fermo serenamente al precedente romanzo cui devo il titolo della mia autobiografia: Io e Me, tre chili sovrappeso, in cui di pollo c’è solo quello di KFC.

Articolo scritto da Andrea Perticaroli

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