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A Milano c’è solo una cosa che classifica perfettamente i milanesi: l’Università che si frequenta. Si narra, infatti, che anche Giovanna d’Arco sia stata arsa viva per aver sostenuto che la Statale fosse meglio della Bocconi e che Brera faccia lavorare i propri studenti su riproduzioni della Sacra Sindone, il che la rende necessariamente migliore di qualsiasi altra Accademia.

Da una ricerca antropologica (che ho personalmente condotto), valida quanto un intervento della Pellegrini sullo shampoo antiforfora al G8, questo è quanto ho capito della guerra fredda che tedia gli universitari di MilanoMilano:

Il Bocconiano

Alla domanda «Come ti chiami?» è solito rispondere: «Mi chiamo Bocconi, lo sapevi che vado alla Bocconi? Tu come ti chiami? Io frequento la Bocconi.» O meglio, qualsiasi sia la natura della domanda e il fine della stessa, il Bocconiano segue la massima filosofica della sua scuola d’appartenenza: studio in Bocconi ergo sum. Sulla loro epigrafe, si legge: «Studiava in Bocconi, quindi studiava solo lui il vero sapere». Il Bocconiano, dopo la prima lezione di microeconomia durante la quale ha imparato il nome del libro da dover comprare per cominciare a studiare, sa già fare trading online e ha già mandato il curriculum per lavorare in Borsa, nel quale, alla voce competenze linguistiche, scrive: «Parlo bocconiano fluentemente».

Lo Statalino

Lui è quello che studia nella vera Milano; ma proprio MilanoMilano, perché la sede non sta in centro, ma in centrocentro; infatti, se potesse, affitterebbe direttamente l’altare in Duomo per poter studiare. Lo Statalino mangia pane, meritocrazia e statalismo, dato che si sente l’unico a studiare in una università non privata e quindi, necessariamente, più valida. Un po’ come entrare da Prada e vantarsi della propria maglietta Alcott. Lo Statalino sciopera più di Pannella nei suoi anni d’oro e soffre della sindrome compulsiva della scritta unimi. Si dice, infatti, che durante l’immatricolazione l’Università chieda ai suoi futuri studenti di riscriversi all’anagrafe con Nome #unimi Cognome.

Lo Iulmino

Solitamente non sa neppure lui che cosa ci stia facendo all’Università, di cui non sa neppure se sia lo Iulm o la Iulm: non è cosa che lo riguardi, così come lo studio.
Noto come colui che si applica ma non è intelligente, lo Iulmino rivendica l’importanza dei suoi esami grazie ai quali può dichiararsi dottore. Anche se lo Iulmino studiasse enologia, si appresterebbe a trovare un attico in zona Monte Napoleone per aprire il suo studio col titolo di: «Non lo so neppure io però son psicologo». Solo lui e, sottolineiamo, solo lui studia la vera essenza del marketing; ancora non ci spieghiamo come mai sia iscritto da otto anni a Interpretariato e Traduzione, ma tanto lo sa neppure lui.

Il Cattolichino

Iscritto in Cattolica perché prega, costantemente, che non gli venga rinfacciato il fatto di non essere riuscito a entrare in Bocconi e di aver dovuto, quindi, ripiegare nelle Sacre Scritture delle facoltà umanistiche. Una volta entrato a far parte del Vaticano milanese, il Cattolichino prende i passi dei suoi fratelli e la sua missione diventa quella di spargere il verbo: «Economia esiste solo in Cattolica». Economia del fatti il segno della croce e non ci rompere i coglioni, dai.

Lo Ieddino e il Nabino

Talmente concept che non hanno neppure un nominativo, il loro studio va oltre le nostre umane capacità sensoriali, loro studiano l’arché delle cose, l’intellegibile platoniano: sempre che ogni cosa possa essere tradotta in inglese, altrimenti col cazzo che può avere rilevanza. Infatti, ci mettono dieci minuti a spiegarti in lingua che cosa studiano, quando sarebbe sufficiente dire: «Boh Arte». Naturalmente la spiegazione del loro percorso di studi è caratterizzata dal dire I are e I can’t see the hour to see you. Appena viene chiesto loro se studino moda, ci tengono a schiaffeggiarti con la loro Marc Jacobs intonando: FA-SHION DE-SI-GN!!!!!

E il Polimino? Sul Polimino vi aspetta un capitolo a parte. Stay tuned!

Articolo di Andrea Perticaroli

Credit immagine di copertina 

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