Caro Lapo,
non ti preoccupare: so che sei abituato a vedere il tuo nome solo sull’intestazione di multe e denunce, motivo per cui già ti chiedo di spegnere la tua Fiat 500 Camouflage Netlog 2009 e mandar via il pensiero di scappare in Thailandia per darti alla coltivazione della tapioca. Questo non è un panegirico ma un resoconto striminzito e sottile sul perché io creda in te. E se ci stessi ancora pensando: sì Lapo, sto spezzando una lancia a tuo favore e non, sfortunatamente, 20 grammi di fumo. Famo n’altra volta, daì.
Ti prendiamo per il culo da quando eri nella fase della meiosi, lo so. Poi sei nato. Sei stato dato alla luce a New York il 7 Ottobre 1977; e questo già dovrebbe essere un tuo punto di forza: pensa a tutti noi stronzi che ti veniamo contro col certificato di nascita dell’ospedale di Mariano Comense. E peraltro, sei addirittura un uomo di cultura: diplomato a Parigi e laureato a Londra all’European Business School. Sorvoliamo sul fatto che in onore di tutte le città in cui hai vissuto, dovresti aver fatto una stagione di C’è Posta Per Te al posto di Olga Fernando, e invece un tuo intervento in lingua italiana pare più il resoconto dattilografico di un esame prostatico letto a voce alta, ma va beh: anche i migliori sbagliano, te la abbono.
Poi ti sei dato da fare, hai messo le mani in pasta; hai cominciato a lavorare come operaio metalmeccanico per il cugino di tua madre, Giovanni Agnelli. Niente di esilarante, se non il fatto per cui ti facevi chiamare sotto pseudonimo: Lapo Rossi. Ma Lapo, davvero facevi? Chi minchia eri, Agatha Christie? Colpo grosso sul Milano-Roma Express?
Poi l’ascesa: seguendo le orme di Carlo Magno, ti sei creato un impero entrando in FIAT, occupandoti dell’immagine e della comunicazione del brand. Tutto bellissimo eh, l’impegno lavorativo, il desiderio di far carriera, il limone rubato a Uma Thurman: ma Lapo, chi cazzo andrebbe in giro con l’auto pitonata? Sì, plausibile il pensiero per cui, in caso capitasse, non la perderesti mai nel parcheggio dell’Esselunga, ma rischi di perdere anche 8 decimi al mese a continuare a vedere quella merda parcheggiata sotto casa.
E oltre a rubare il buon gusto a Carla Gozzi ed Enzo Miccio, hai cominciato presto la tua nuovissima serie 24 ore incarcerato: come esprimere a parole l’epifania che ti è balenata in testa quando, a Capri, hai rubato un taxi giustificandoti con «È una Fiat Marea. Quindi è mia». Per l’accaduto, un giorno in carcere tassativo. La libertà l’hai probabilmente pagata coi soldi che hai chiesto per il riscatto quando, durante un bel giorno newyorkese in compagnia di una trans, hai deciso che ti avevano sequestrato. Così, come bere un bicchiere d’acqua minerale. E ti capisco Lapo; siamo tutti impegnati a emulare la vita al sorbetto al maracuja a Bali di Chiara Ferragni quando te, già anni fa, avevi dato le basi a un business che avrebbe potuto risanare il debito statale Italiano: sesso, droga & non sapevo di essere stato rapito. Geniale.
Ma tra problemini vari e un completo dal gusto eclettico, alla moda nei tempi di Assurbanipal, sei sempre risorto dalle ceneri come solo una fenice sa fare; perché la tua vita, Lapo, è un po’ schopenhaueriana: è un pendolo che oscilla costantemente tra chissà che cazzata faccio oggi e ma intanto che ci penso, parcheggio il SUV sui binari del tram in centro a Milano perché chi cazzo li sa fare i parcheggi, raga che sbatti.
Sei tutti i parcheggi ad S che non abbiamo mai saputo fare, Lapo. Sei tutti noi e ti vogliamo bene.
Articolo scritto da Andrea Perticaroli
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