Sono anni che provano a farci sentire inadeguati con le storie su Roma Criminale, Gomorra e le famiglie siciliane che, dopo il Padrino, non sono fighe nemmeno quando sono su Canale 5.
L’unica impresa che gli è riuscita perfettamente è farci piangere. Ma non dalla disperazione. Dalla noia.
Perché gli manca il guizzo: sono tutti così calcolatori che, più che dei malavitosi, sembrano dei ragionieri.
Mai un bandito con un’idea divertente, o ironica. Sono tutte bestie feroci con gravi problemi col pettine.
E non voglio fare quello che Milano è più figa, ma – spiace dirlo – è così. E non parliamo di Vallanzasca che è il bandito citato forse solo meno di Barabba.
Perché a Milano, anche i banditi c’hanno il genio. Ed è uscito un libro dal titolo Milanesi Brava Gente, edito Milieu, che racconta di veri talenti con una grande inclinazione sportiva alla delinquenza.
Storie tipo queste: la top 5 dei banditi più Imbruttiti di Milano:
1_Il Principe dei Ladri.
Anno 1954. Il Rainer Grimaldi, professione principe di Monaco, si sposa con l’attrice più famosa del momento, Grace Kelly. Festa da milioni di invitati, con addosso gioielli che valgono miliardi di dollari.
Da Milano Centrale, col treno, parte un tizio di circa 35 anni, Otello Onofri. Tracagnotto, borseggiatore da autobus, niente di che. Però, arrivato nel Principato, si mette il suo vestito migliore e s’imbuca al matrimonio.
Se la gode per tre giorni. Balla, beve, chiacchiera. Dice di essere un commendatore milanese. Ma intanto, non appena arriva, inizia a sparire roba per milioni. Tipo il diadema della testimone di nozze della Grace.
A fine matrimonio, lui lo beccano con l’argenteria. Ma la leggenda vuole che quello fosse solo un modo per attirare l’attenzione e far sì che il suo compare se la svignasse con il malloppo vero.
2_Il Milanese a tutti i costi.
L’anno è il 1959. Il nostro uomo è un certo Rodolfo Cirasella, forse neanche 16 anni. Arriva a Milano da Salerno in treno e subito capisce che ci sono più auto fuori dalla Centrale che persone al suo paese. E ne resta così affascinato che gli viene voglia di guidarle tutte.
Lo prendono tutte le volte che ne ruba una, ma visto che è tanto giovane quanto sfortunato, lo lasciano sempre andare. Si dice che alla fine, per farlo smettere, il Capo della Mobile Nardone abbia invocato l’unica autorità che gli italiani temono di più della Polizia: la mamma. E lui, pur di restare a Milano e non tornare a casa, si è fatto mettere in galera. Da qui, il suo soprannome.
3_Il bandito dell’Isola
Anno 1945. I soldi a Milano sono inversamente proporzionali alla fame. E fare le rapine è un casino. Ci sono più armi a Milano, che foto di Fedez vestito male su Instagram.
Serve un’idea della madonna. E il Bandito, Ezio Barbieri, la trova. Con due tette così.
Bionda, con più curve della Milano-Serravalle, una bellissima ragazza bionda è l’arma più potente del periodo. Barbieri la mette fuori dalle vetrine delle banche e la ragazza attacca a spogliarsi. Lentissima. Cappello, calze, maglia, camicia. Fa vedere cose che la metà degli uomini hanno solo potuto immaginare nei casini. E qui è gratis.
Nel frattempo, Barbieri arriva zitto zitto, svuota i cassetti e suona l’allarme. E quello è il segnale per sparire: lui, i soldi e pure la bella spogliarellista.
4_Il poeta della vetrina
Fin da piccolo, Bruno Brancher subisce il fascino dei rapinatori, di quelli che saltavano il bancone con il mitra in mano, pieni di coraggio, donne e macchine veloci.
E avrebbe potuto benissimo farlo, ma aveva un piccolo difetto: balbettava. Però questo non lo ha fermato.
Dicono che, una volta, abbia provato a realizzare il suo sogno. Ma una volta dentro la banca, pistola in pugno, abbia detto: «Fe-fe-fermi tutti! Que-ques… Va bè, a monte. Fa-fa-facciamo finta di-di niente».
E il suo sogno si è infranto. Forse è per questo che, poi, si è specializzato in quei colpi in cui parlare non serve.
Basta avere un mattone, spaccare le vetrine e portare via tutto.
5_ Il genio della rapina.
Ugo Ciappina: una vera e propria macchina da reato. Il primo lampo ce l’ha nel ’49. Si presenta in un laboratorio orafo in via Donatello 15, dietro Loreto, vestito da Carabiniere. Con la divisa addosso, gli aprono tutto: porte, casseforti. Manca poco che il proprietario del laboratorio gli apra anche il cuore. Ci sta che gli avrebbe portato via anche quello.
È uno di quelli che hanno fatto il colpo di via Osoppo. La RAPINA con tutte le lettere maiuscole. 10 minuti, 580 milioni di lire. Il gesto atletico più redditizio della storia d’Italia.
L’ultima volta che in Questura hanno pronunciato il suo nome è stato nel 2002. A 70 anni suonati. Lo hanno trovato all’alba in Piazza Oberdan, mentre dei rapinatori stavano bucando un muro per portar via la cassaforte del negozio di abbigliamento Tincati.
Quando lo hanno fermato, dicono che si sia anche arrabbiato: «Cioè, adesso non si può più neanche passeggiare?»
Sono delinquenti di epoche diverse, con storie diverse e, soprattutto, finali diversi. Però, tutti hanno in comune ciò che davvero distingue la malavita milanese da quella di tutte le altre città: nessuno di loro, ha mai sparato un colpo per uccidere un uomo.
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