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Meno lavoro, stessi soldi: anche la Spagna dice sì alla settimana corta

Il Consiglio dei Ministri spagnolo ha detto ok ad un provvedimento storico: riduzione della settimana lavorativa: da 40 ore a 37,5. Ah, stipendi invariati.

C’era una volta il mito del “più lavori, più guadagni”. Poi sono arrivati gli studi, i brieffini, le aziende che hanno provato a fare una rivoluzione e, guardate un po’, ha funzionato. Meno ore, più produttività, gente con meno sbattimenti. E mentre molti Paesi ancora arrancano dietro a modelli di lavoro vecchi di un secolo, la Spagna ha deciso di evolversi.

Il Consiglio dei Ministri spagnolo ha detto ok alla riduzione della settimana lavorativa: da 40 ore a 37,5. Stipendi invariati. La ministra del Lavoro, Yolanda Díaz, ha definito il provvedimento “storico”, e onestamente, come darle torto? Qui non si parla di qualche azienda pioniera che sperimenta, ma di una politica nazionale che impatterà milioni di lavoratori. Oltre alla settimana corta, arriva anche il diritto alla disconnessione. Tradotto: fuori dall’orario di lavoro, nessuno può scocciarti con mail, messaggi o chiamate. Nessuno. Nemmeno il capo col fiatone che ti cerca alle 22 perché “urgente” (spoiler: non lo è mai davvero).

E qui arriva la parte interessante. Perché lavorano meno e fanno effettivamente meglio. Studi su studi dimostrano che ridurre le ore porta a più concentrazione, meno stress, meno assenteismo e più produttività. Perché diciamocelo: quante ore delle 8 classiche passiamo davvero a lavorare al 100%? Se togliete il tempo morto tra riunioni inutili, coffee break e scroll infinito sui social, scoprite che in realtà bastano meno ore per fare lo stesso lavoro – anzi, forse anche meglio.

Non a caso, il Ministero del Lavoro spagnolo ha calcolato che questa riforma impatterà circa 12,5 milioni di persone, con settori come ristorazione, commercio e servizi che ne beneficeranno di più. E per chi non si adegua? Multe fino a 10mila euro a lavoratore. Ma è tutto bellissimo.

Settimana corta, e gli altri paesi?

La Spagna non è mica l’unica a pensarla così. Anzi, è solo l’ultima ad aggiungersi a questo trend. Tipo in Islanda, dove hanno iniziato a testare la settimana corta anni fa, e il risultato? Super positivo. Adesso oltre l’86% della popolazione ha diritto a lavorare meno ore con lo stesso stipendio. O in Francia: da tempo esiste la settimana da 35 ore, e le grandi aziende devono rispettare regole precise sulla disconnessione.

Perché funziona, ci chiedete? L’idea che “se lavori di meno fai meno” è old school. Tutto sta nel modo in cui si lavora. E poi c’è la questione umana. Meno stress = meno malattie, meno giorni di malattia, meno burnout. Gente più felice = gente più motivata = aziende che rendono di più.

Oh, adesso che il governo ha dato l’ok, la palla passa al Congresso dei deputati, dove i vari partiti potranno mettere mano al testo e aggiungere le loro modifiche prima di dare il timbro finale. La ministra Diaz ha già fatto i suoi conti e dice che la legge finirà sulla Gazzetta ufficiale prima dell’estate, così da lasciare il tempo ai sindacati di firmare i nuovi contratti collettivi entro fine anno. Ma non è finita qui: in parallelo stanno pure pensando di alzare il salario minimo a 1.184 euro al mese.

Ora vi salutiamo, andiamo a cercare casa a Madrid.

Autrice: Francesca Tortini

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