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Il 36% dei manager in Italia è donna, ma la parità è ancora mooolto lontana

L'Italia è tra gli ultimi Paesi europei per partecipazione femminile al lavoro.

Oggi parliamo di un tema bello peso: la presenza femminile ai vertici delle aziende italiane. Secondo il report “Donne e lavoro in Italia” di Rome Business School, a cura di Carlo Imperatore, direttore Generale Federmanager Roma Lazio e Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca Divulgativo di Rome Business School, il 36% dei manager nel Bel Paese è donna, superando per la prima volta la media dell’Eurozona, ferma al 35%. Un traguardo storico, certo, ma la strada verso la parità è ancora lunga e tortuosa.

Un bicchiere mezzo pieno… o mezzo vuoto?

Se da un lato possiamo brindare a questo incremento, dall’altro dobbiamo fare i conti con una realtà meno rosea. Solo il 28% delle posizioni manageriali complessive è occupato da donne, e questa percentuale scende al 18% quando si tratta di ruoli regolamentati da un contratto dirigenziale. Insomma, il soffitto di cristallo è ancora ben saldo sopra le nostre teste.

Ma non è solo una questione di poltrone dirigenziali. L’Italia registra uno dei tassi di occupazione femminile più bassi d’Europa: solo il 51% delle donne in età lavorativa ha un impiego, contro il 69% degli uomini. E nelle regioni meridionali, la situazione è ancora più drama, con percentuali che scendono sotto il 40%. Per fare un paragone, in Germania il tasso di occupazione femminile è al 75%, in Francia al 68% e in Spagna al 64%. Siamo insomma il fanalino di coda dell’Eurozona.

Contratti precari e part-time: il regno della flessibilità (forzata)

Le donne che riescono a entrare nel mondo del lavoro spesso si trovano intrappolate in contratti precari e part-time. Nel primo semestre del 2024, solo il 42% delle 4,3 milioni di nuove assunzioni riguardava donne, e di queste, il 40,4% aveva un contratto a termine e il 49,2% un part-time. Per non parlare del fatto che il 64,5% delle donne con contratti a termine lavora part-time, contro il 33% degli uomini. Insomma, la flessibilità sembra essere diventata una prerogativa femminile, ma non per scelta.

Maternità: una gioia che può costare cara

La maternità, poi, rappresenta ancora un ostacolo significativo per la carriera delle donne. Il 16% delle lavoratrici lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio, contro appena il 2,8% degli uomini. E non è solo una questione di scelta personale: spesso le aziende non offrono sufficienti supporti per conciliare lavoro e famiglia, costringendo le neomamme a fare un passo indietro nella loro carriera.

Nonostante questo scenario, qualcosa si muove. Il governo italiano ha introdotto la “Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026“, con l’obiettivo di guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index dell’EIGE entro il 2026. Tra le misure previste, incentivi per l’assunzione di donne, come la decontribuzione del 50% per le aziende che assumono lavoratrici in settori con forte disparità di genere. Tuttavia, la strada è ancora in salita, e le buone intenzioni devono tradursi in azioni concrete e tempestive.

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