
A Napoli, se non stai attento, rischi di inciampare in un gruppo di turisti prima ancora di scendere dal taxi. Una comitiva passa per piazza San Domenico, un’altra spunta da via Toledo e no, non è la settimana di Ferragosto. È un giovedì qualunque di marzo. La verità? Napoli non è più solo Napoli. Sta diventando un format globale, un brand da travel blogger, una specie di Disneyland con meno orecchie da topo ma più pizza fritta e folklore.
Ed è proprio da qui che parte il dibattito: serve un ticket d’ingresso per limitare l’assalto?
I numeri che spiegano il caos
Nel 2024, secondo i dati del Comune, Napoli ha registrato 14,5 milioni di presenze turistiche, con un +15% rispetto all’anno precedente e un +33% sul 2022. La previsione per il 2025 è 17 milioni di turisti. Un’enormità.
Ma il dato che fa veramente girare la testa è un altro: 15.051 alloggi in affitto breve attivi su piattaforme come Airbnb. Per capirci, il triplo di Venezia. Quella Venezia che da anni si interroga su come evitare di affondare – letteralmente e culturalmente – sotto il peso del turismo di massa.
Il ticket per entrare a Napoli: provocazione o soluzione?
Tra le proposte più chiacchierate spunta proprio questa: introdurre un biglietto d’ingresso per i visitatori giornalieri. Un’ipotesi avanzata da Confcommercio che, sulla scia di quanto sta accadendo proprio a Venezia, potrebbe sembrare una follia… ma a guardare bene, forse non lo è poi così tanto.
Perché a Napoli l’equilibrio si sta spezzando.
Le case per i residenti spariscono, gli affitti si impennano (da 1.100 a 2.300 euro al mese), gli sfratti si moltiplicano, e interi quartieri storici – una volta vissuti e vissuti bene – stanno diventando vetrine turistiche senza abitanti veri.
Nel centro storico il 90% delle case era abitato. Oggi? Un Airbnb ogni tre citofoni.
Chi dice no (e chi dice "forse sì, ma con criterio")
C’è chi grida all’allarme gentrificazione, chi chiede il blocco degli affitti turistici, e chi (come il comitato "Restiamo abitanti") chiede provvedimenti immediati e drastici. Dall’altra parte c’è chi difende il turismo come l’unica economia rimasta dopo la morte dell’industria. Come Agostino Ingenito di Abbac, che ricorda che l’85% degli host su Airbnb sono piccoli proprietari che hanno sistemato palazzi e strade altrimenti abbandonati.
E anche se si ipotizza di fissare un tetto massimo del 30% di alloggi turistici per quartiere, per ora siamo lontani da quel numero. Però, avverte: "Parliamone con serietà. Ma attenzione a non spararci nei piedi."
L’altro grande timore è culturale: che Napoli diventi una parodia di sé stessa.
Pizza, mandolino, presepe, Maradona, folklore da vendere e un po’ di degrado da Instagrammare. Ma dietro? Rischia di non esserci più nessuno.
L’assessora al turismo Teresa Armato non ci sta:
"I numeri ci dicono il contrario. I musei sono pieni, i biglietti venduti sono cresciuti del 90%, e Napoli è stata eletta città con il miglior cibo al mondo." Ma intanto il Comune sa bene che la bomba sta per scoppiare. Dal 2022 ha rafforzato trasporti, sicurezza, raccolta rifiuti. E ora guarda ai quartieri più in crisi (Pendino e San Giuseppe) dove forse – dicono – servono limiti veri.
E allora, il ticket si fa?
Per ora è un’ipotesi. Ma il solo fatto che se ne parli seriamente la dice lunga su quanto il turismo stia cambiando – e forse stravolgendo – Napoli. Il punto non è respingere i visitatori. Il punto è evitare che la città diventi una cartolina per turisti e un incubo per chi ci vive.
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