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Il suono d’avvio di Windows 95 è entrato ufficialmente nella storia della cultura americana

Non ce la faccio, troppi ricordi.

Chi non si ricorda quel mitico “ta-dam” all’accensione del PC? Per molti è stato il jingle del primo computer in cameretta, per altri il sound che dava il via alle maratone su Encarta, WordArt e Minesweeper. Bene, quel suono lì, il boot di Windows 95, è appena entrato nella Hall of Fame dei suoni americani.

Ci sta tutto.

La Library of Congress degli Stati Uniti l’ha infatti incluso nel National Recording Registry, cioè l’archivio nazionale dei suoni che hanno segnato la cultura americana. Tra una canzone di Elton John e la soundtrack di Minecraft, spunta anche lui: The Microsoft Sound.

Tre secondi e un quarto di leggenda

Quel jingle non è stato messo a caso: a comporlo è stato Brian Eno, fondatore dei Roxy Music e padre della musica ambient. Uno che, giusto per capirci, se gli chiedi una suoneria per il citofono ti scrive una sinfonia.

Chiamato dal team di design di Redmond nel ‘95, Eno ricevette questa richiesta:

Vogliamo qualcosa che sia ispiratore, universale, ottimista, futuristico, sentimentale, emozionante… e che duri 3 secondi e un quarto.” Cioè, praticamente scrivere l’intera colonna sonora della tua esistenza in meno tempo di un respiro. Eppure, ce l’ha fatta. Nasce così The Microsoft Sound, il suono che ha fatto da colonna sonora al risveglio tecnologico di un’intera generazione.

E oggi quel suono vale come una scultura di Arnaldo Pomodoro.

L’ingresso nel National Recording Registry non è cosa da poco: ci finiscono solo registrazioni “culturalmente, storicamente o esteticamente significative” per la storia americana. Roba che deve raccontare com’era vivere negli USA in un certo periodo storico. E, a quanto pare, Windows 95 e quel suono sono stati tanto rivoluzionari quanto le hit degli anni ‘90.

Insieme al suono di avvio di Microsoft, quest’anno entrano anche: “Goodbye Yellow Brick Road” di Elton John e la soundtrack di Minecraft (Volume Alpha di Daniel Rosenfeld). Sì, siamo ufficialmente in quell’epoca in cui i nostri ricordi digitali diventano patrimonio culturale.

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