
Ditelo che vi mancava l'ultimo neologismo inglese per indicare qualcosa di perfettamente noto ma non ancora finito sui giornali di psicologia. A 'sto giro vi beccate il boomerasking che, a dispetto del nome, non c'entra coi boomer bensì con il boomerang e, ovviamente, con l'asking, cioè il chiedere.
E in che cosa consiste questa pratica sociale poco socievole? Facile: immaginate di incontrare un amico, che gentile gentilissimo vi fa una domanda manifestando interesse verso la risposta (meglio se breve) e proprio mentre state finendo di rispondere... taaaac! Vi piazza lì la sua lunga, lunghissima, infinita risposta alla medesima domanda, anche se - poveri voi - la domanda non l'avevate ancora fatta e magari neppure era nelle vostre intenzioni. Nel boomerasking le intenzioni della "vittima" non contano, conta solo il momento in cui c'è l'aggancio: la domanda parte, trova la prima risposta e poi torna indietro a chi l'ha domanda l'ha fatta, che si fa trovare pronto con un pippone di mezz'ora.
È un po' come quando porti tuo figlio piccolo al parco e trovi sempre (sempre) quel caz*o di genitore di mer*a che - soprattutto vedendoti in difficoltà - non fa altro che farti domande su tuo figlio o figlia che strilla, si divincola, corre ovunque, non ti dà mai retta per raccontarti invece quanto il/la suo, non strilli mai, abbracci chiunque, stia sempre dove lo mette e ovviamente obbedisca a bacchetta senza nemmeno la bacchetta.
O come quando incontri l'amico/conoscente che ti chiede come stai, e quando accenni ad un tuo qualche malanno - apriti cielo - l'altro inizia il suo pippone sui suoi duecentocinquanta malesseri che sicuramente sono più dei tuoi. E se parli di problemi al lavoro? Lui (e lei) ne ha molti più di te. Paturnie sentimentali? Non parliamone. Insomma, il classico interlocutore che ha sempre qualcosa in più di te, nel bene o nel male, e che merita di essere snocciolato a lungo, nel dettaglio, con buona pace del nostro frizzatissimo piano d'ascolto.
Ora, ditelo: non l'avete mai chiamato boomerasking ma avete ben presente chi, fra i vostri conoscenti, ha questa tendenza malsana di accentrare la conversazione su se stesso... A una breve ricerca in rete i nostri psicologi più celebri non se ne sono ancora occupati (e fa strano che Crepet non abbia ancora cavalcato l'occasione per sparare un po' di merda sui genitori contemporanei) mentre fra Stati Uniti e Spagna si sono già versati fiumi di inchiostro per dare un contorno a quella che, con meno contorsione mentale, abbiamo sempre chiamato egocentrismo.
Il primo posto dov'è comparso il termine boomerasking è il Journal of Experimental Psychology, che ha pubblicato lo studio di Alison Wood Brooks e Michael Yeomans, detentori al momento della titolarità del neologismo. Poi se n'è occupata in Spagna su El Paìs la psicologa Alba Cardalda, una che ci piace a priori essendo l'autrice di "Come mandare affan***o in modo educato". Infine, è stata la volta della psicologa Alicia González, secondo cui i boomerasker sarebbero consapevoli del loro trucchetto ma non riuscirebbero a liberarsi dalla bolla in cui si rinchiudono. Un po' come se si mettessero all'angolo da soli e continuassero a parlare con il muro. E non è che per questo ci facciano pena, però, visto che i coglioni che frantumano sono i nostri.
Poi, oh! bravi tutti a fare i santarellini, ma probabilmente è capitato a chiunque di lanciare qualche domanda boomerang a cui aggrapparsi per raccontare qualcosa. Però un conto è una volta, un conto è sempre. Come dicevano i latini: errare humanum est, perseverare autem diabolicum? Ve l'ho mai detto che ho fatto il classico?!
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