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Flavio Briatore: “A mio figlio passo 500 euro di paghetta, l’Italia non mi merita”

"È difficile non viziarlo. Ma va bene a scuola, parla quattro lingue e conosce tutti i nomi dei dipendenti dei nostri ristoranti". E sull'Italia: "Non mi merita"

Flavio Briatore, il re del Billionaire, il boss del Crazy Pizza, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera che ci ha regalato gioie. E motivi per fare un po’ di chiacchiericcio. “L’Italia non mi ha mai aiutato, non si merita che ci viva“.

Booom!

But first, l’infanzia di Flavio

Non ho ricordi particolari. Vivevo in un paese piccolissimo, Montaldo di Mondovì. Non c’era niente, solo neve a catinelle”, racconta Flavio. E i genitori? Due insegnanti. Talmente sul pezzo che lo hanno avuto in classe. “Con mia madre tutto bene. Mio padre invece mi bocciò. Forse per dare il buon esempio”.  La vera svolta? Dopo il diploma da geometra: “Il regalo più grande che ho fatto ai miei genitori è stata l’indipendenza”. Tradotto: fuori dai piedi e sotto con il business.

Errore dopo errore, Briatore si è fatto il callo. “Gli errori sono una costante. Il segreto è correggere subito il tiro“. E anche quando tutti lo davano per pazzo, lui se ne fregava: “Mi diedero tutti contro, ma alla fine avevo ragione io. Un manager, quando prende decisioni importanti, è sempre solo“.

Tipo quando ha puntato su Fernando Alonso e lasciato a piedi Jenson Button. Una scelta che oggi diremmo da visionario” o semplicemente “da uno che ci vede lungo”.

Italia? No grazie. Meglio Montecarlo (e Dubai, e Riad…)

Briatore non gira attorno al discorso tasse. Anzi, va dritto come un Frecciarossa: “Sono iscritto all’Aire da 45 anni. In Italia non ho un conto corrente dagli anni 80. Non vivo a Monaco per non pagare le tasse, io qui ho creato business e per creare business scegli i Paesi che ti danno maggior protezione fiscale. Infatti siamo a Dubai, a Riad, in Spagna. E abbiamo investito anche in Italia. Anche se l’Italia non mi ha mai aiutato e non si merita che ci viva“.

Il Belpaese, secondo lui, non non è stato molto accogliente. “Non mi ha mai aiutato, veda il caso Force Blue. È un Paese di Gattopardi: vogliamo che cambi tutto perché resti tutto uguale“. Brief al volo: il Force Blue, lo yacht dei sogni, gli è stato sequestrato e venduto all’asta due settimane prima che venisse assolto in Cassazione. “Ma meglio l’abbia comprato un amico come Ecclestone“.

Anche con la Sardegna non è proprio amore eterno: “Il mio amore per quella terra non è stato ricambiato. Il Billionaire ha dato lavoro, creato indotto, eppure è stato osteggiato. Ho venduto i muri, non il marchio. Quello resta mio”.

Nel frattempo, il Principato di Monaco gli ha dato un bel titolone: Goodwill Ambassador. “Una sorpresa, perché la gratitudine è rara. A Monaco ho quasi 200 dipendenti. In Italia, solo critiche”. Rancore ne abbiamo?

Crazy Pizza, pizze a 18 euro e sogni globali

Il marchio che oggi lo gasa di più? Crazy Pizza. “Ne abbiamo 30, vogliamo arrivare a 50. La mia preferita? La Margherita. Semplice, con mozzarella di bufala. Costa 18 euro. Ma io non vendo pizze, vendo esperienze”.

Ha venduto Twiga al gruppo Del Vecchio: “Ho scelto loro perché garantivano l’occupazione dei ragazzi. E io dovevo tornare in pista“. Letteralmente.

Papà Flavio e la paghetta da 500 euro

Con Elisabetta Gregoraci i rapporti sono distesi: “Siamo stati bravi a mettere lui al primo posto”. Lui chi? Il figlio Nathan Falco, che oggi studia in una boarding school svizzera e riceve la modica cifra di 500 euro di paghetta al mese. “È difficile non viziarlo. Ma va bene a scuola, parla quattro lingue e conosce tutti i dipendenti dei nostri ristoranti“. Un mini-CEO in erba. “Come imprenditore gli auguro di creare tanti posti di lavoro, perché il vero fallimento è dover licenziare. Vorrei solo che trovasse il modo di essere felice. Non è obbligato a fare quello che faccio io“. 

Il tempo che passa? Bello sbatti. “Vorrei esserci il più a lungo possibile per fare ancora da scuola guida a Falco. Il dramma del tempo che passa è che noi non ce ne accorgiamo, ma ce ne rendiamo conto quando vediamo gli altri, che non invecchiano bene. Magari tra un paio d’anni farò un lifting. Ma non mi vergogno di dire che dieci anni fa ho fatto un intervento per eliminare il doppio mento“.

Finale col botto: “Tutto è servito a scrivere la mia storia“. Pure la condanna per truffa da giovane: “Ci fu l’amnistia, rimborsai tutti“. Tutto fa curriculum, insomma.

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