Cinque anni fa era solo una riga bianca sull’asfalto. Oggi, in Corso Buenos Aires, è un cordolo di cemento lungo un chilometro e seicento metri, affiancato da 220 negozi e 4mila dipendenti. Una trasformazione lenta ma costante, che ha ridisegnato una delle vie commerciali più trafficate di Milano — e acceso una delle polemiche più incandescenti della città: pista ciclabile sì o pista ciclabile no?
Una linea che divide: bici da una parte, auto dall’altra
Il tracciato non è ancora continuo e i cantieri spezzano il percorso, costringendo bici e scooter a deviazioni improvvise. Nelle ore di punta il contrasto è netto: auto ferme, biciclette che scorrono.
Il Corriere ha raccolto un po’ di commenti: «Con il cordolo di cemento ci sentiamo protetti. Senza le auto che invadono possiamo pedalare veloci e usarla per andare al lavoro», racconta una pro, ma qualcun altro sentenzia: «Il problema sono i tempi eterni. Da piazza Argentina a Loreto è tutto fermo, le auto sostano ovunque e limitano la visibilità. La città migliora, ma troppo lentamente».
I numeri e la realtà della strada
Secondo Luca Studer, docente del Politecnico sentito dal Corriere, la ciclabile funziona: «In certi orari le auto non superano il 40%. Il resto sono due ruote: monopattini, bici, cargo. L’incidentalità è aumentata, ma molto meno rispetto al numero di ciclisti in strada».
Non tutti, però, riescono a convivere con la nuova viabilità. Wladimir Vlahovich, corriere, si ritrova spesso a invadere la pista: «È impossibile sostare senza bloccare qualcuno. Il rischio è diventare più nervosi, non più prudenti».

I negozianti: “Così ci fate chiudere”
Dietro le vetrine, però, la pista divide. «All’inizio, durante il Covid, eravamo favorevoli — racconta Gabriel Meghnagi, vicepresidente Confcommercio e presidente di Ascobaires —. Poi è diventata sempre più ingombrante. Potevano farla nelle parallele, via Benedetto Marcello o Morgagni, in mezzo al verde. Invece, il disastro: i ciclisti respirano smog, le auto restano ferme e chi consegna non sa dove sostare».
Secondo Confcommercio, i negozi avrebbero perso il 15-20% del fatturato in un anno e mezzo. Diciotto insegne, tra cui Portobello, Guess e Calvin Klein, avrebbero chiuso e cambiato sede.
Possiamo quindi dire che cinque anni dopo quella prima riga bianca, Corso Buenos Aires resta un esperimento a cielo aperto. Una linea che taglia la città in due: da una parte chi vede nel cordolo un passo verso il futuro, dall’altra chi lo considera un ostacolo per il commercio. Voi da che parte state?









