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«E anche questo matrimonio ce lo siamo levato dai coglioni», verrebbe giustamente da dire; anche perchè, come sappiamo, non è stata una diretta televisiva su Beckham e la sua bonaggine che move il sole e l’altre femmine. In realtà si è visto altro: Meghan e Harry hanno finalmente pronunciato il tanto acclamato Yes. Che poi, quando il prete ha detto loro «in ricchezza e povertà» e Meghan avrà pensato «Yes, povertà anche col cazzo», questo è tutto un altro discorso.

Mi preme sottolineare che la validità di un mio giudizio sul Royal Wedding è rilevante quanto la ricetta del pollo alla piastra della Canalis suggerita a Carlo Cracco, però quando ce vo’, ce vo’, nonostante il mio più grande riferimento sia il congiungimento a nozze della Blasi con Totti o il matrimonio nel 2008 di mia zia a Bollate.

Ma senza going for la tangente: qualcuno sa se alla fin fine a Meghan è stato detto che era effettivamente e veramente il suo matrimonio con un principe e non un altro episodio di Suits? Anche perché, adesso, Rachel si potrebbe comprare Suits, Grey’s Anatomy e l’intero palinsesto di Sky – aggiungendo un canale dedicato al piccolo George dal titolo Non so perché gli altri siano così povere merde – con la mancetta mensile di Harry; e peraltro, per chi non lo sapesse, chi fa parte della Famiglia Reale non può lavorare né praticare qualsiasi altro atto a fine di lucro: e no, pulire il culo dei corgi della Regina non rientra tra queste attività. Ma comunque, consapevolezze o meno, la sposa era senza dubbi bellissima, elegante, umile. Niente di eclatante addosso: sì, ci aspettavamo qualcosa un po’ alla S&M di Rihanna o qualche lampadario attaccato ai lobi la cui compravendita avrebbe risanato il debito pubblico italiano però, a quanto pare, il look in stile carmelitana scalza ha avuto la meglio. Ma tutto quello che non è stato adornato, arricchito o sfoggiato dalla sposa è stato ben compensato dalla Regina.

Che dire alla Betta II, cosa pensare nell’immaginarsela svegliarsi la mattina e meditare tra sé e sé: «Well dài va, oggi vorrei stare sul sobrio, passare inosservata, mettermi da parte, why not scegliere un bel completino pisello acceso.» Lungi da lei, comunque, colpire gli altri coi suoi sguardi da Kiev 1942, come se stesse sempre lì lì per dichiarar guerra all’America a suon di tè al bergamotto e scones burro e vaffanculo.

Però come non biasimarla: dopo trecentoventisei anni di regno sulle spalle e, probabilmente, altri seicentodue davanti, arriva prima un nipote che si sceglie una del borgo di Harrods e la fa salire al trono; poi quell’altro che si sposta pure fuori da Hyde Park, arriva addirittura oltreoceano per prendersela già divorziata e pure con un accento di merda. E per non farsi mancare niente, il pensiero ricorrente di quell’America che le ha portato via tredici colonie e, adesso, pure il nipote.

Ma in realtà, last but not least, c’è un pensiero anche per Harry. Dopo un periodo iniziale di totale alienazione da sé, come se fosse nel salottino della Barbarella con Giucas Casella, è tornato nel suo mondo che tutti noi vorremmo – lasciando prima da parte il pensiero di essere sesto in successione per diventare Re, poi l’affetto familiare sulla scia dei Misseri per questa consapevolezza – e infatti, di fronte all’apparizione mariana di Meghan in abito bianco, non è riuscito a dirle altro che: «You’re wonderful».

Pensare che a me non lo dice mia madre, ma manco James Blunt, mi ha fatto un po’ commuovere.

Lacrima di commozione scesa pure per la sua ex, Chelsy, per il coraggio non solo di presentarsi alla cerimonia, ma di essere riuscita a non farsi del male col cappello di Camilla, che era un approdo sicuro per le rondini migratrici, ma volendo anche un ottimo mezzo con cui strozzarsi per non pensare a quanto si sia fatta sfuggire. Speriamo vivamente che, col senno di poi e la carica del pelide Achille di una donna sola, Chelsy valuti di regalare a Meghan un parrucchino alla Sandro Meyer scrivendole sul bigliettino di auguri: «Felice for you eh but almeno quando ci facevo il tè io, if you know what I mean bella de casa, i capelli ce li aveva tutti but proprio tutti.»

Felicitazioni a entrambi, a riso lanciato e alla plebe di milleduecento persone parcheggiata e lasciata in giardino come pubblico. L’unica cosa che ci lascia l’amaro in bocca, a dirla tutta tutta, è il pensiero ricorrente che i principi siano finiti e che tocchi continuare con questa vita di merda tentando di schivare gli stenti del lunedì mattina sulla M2. Ancora. Ancora per tanto.

ps: George tra 13 anni è maggiorenne, Charlotte tra 15. Alla fine, passano in fretta.

Articolo scritto da Andrea Perticaroli

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