Il concerto della vita ha illuminato San Siro venerdì sera della scorsa settimana.
Nonostante la pioggia, nonostante la grandine, nonostante l’escursione termica del deserto, Milano ha visto il miracolo compiersi: Beyoncé e Jay-Z sul palco assieme.
Ed esattamente come il popolo prescelto, anche io ho dovuto affrontare alcune sfide per dimostrare di meritarmi Queen B e il suo paradiso.
Cari milanesi sappiate che ho espiato da sola le colpe di tutta Milano, in un esodo durato 24 ore tra pestilenze, caviglie rotte, mercato nero dei biglietti, pioggia di cavallette e bestemmie.
Ma niente avrebbe potuto trattenermi dal vedere Beyoncé, per la terza volta.
Dopo 4 km di pedalata bagnata, arrivo al mio ingresso, tiro fuori il biglietto zuppo che mi si sgretola tra le mani come un castello di sabbia.
Sarà stato il mix di trucco sciolto e disperazione, ma sono comunque riuscita a superare gli omoni dell’ingresso sbandierando quel che rimaneva del biglietto, più simile ad un fazzoletto da naso.
La sensazione, mentre attendevo l’inizio dello show, era di partecipazione collettiva.
Eravamo tutti lì, un’intera città emozionata come una scolaresca con lo sguardo magnetizzato su un gigantesco (enorme davvero) palco vuoto.
Ogni volta che calava un secondo di silenzio partiva un boato convinto dell’inizio dello spettacolo.
Dopo 4 false partenze, il concerto inizia con Holy Grail. Jay-Z sale sul palco, io ho la pelle d’oca, arriva anche Beyoncé e lì inizio a piangere senza ritegno.
Due ore di concerto incredibile: immenso come i polmoni di Bee e sorprendente come la capigliatura di Jay.
Lei, divina, non molla un colpo: canta inventando nuove note e muovendo il corpo senza fermarsi un attimo; lui su alcuni pezzi arranca ma non demorde e ricordiamoci che ha pure 50 anni.
Cioè l’età di mia madre, e questo lo giustifica molto sul piano fisico, poco su quello sentimentale (io le corna non le dimentico).
Mia madre non credo riuscirebbe a salirci su un palco – nemmeno con la scala -, impensabile immaginarla ad affrontare 2 ore di show. È una di quelle mamme che se – per esempio – cucina per una cena di famiglia 5 portate, poi passa tre giorni a letto come se avesse fatto la guerra, per capirci.
Jay-Z, invece, ha tenuto duro e se l’è cavata soprattutto alla luce del fatto che il confronto sul palco non sarebbe stato sostenibile per nessuno.
Accanto a lui c’era la dea Beyoncé, meglio nota come Regina delle Regine, nata dalla tempesta di dollari, madre delle corna dignitose, la non bruciata dalla critica, e davanti a ciò chiunque avrebbe avuto difficoltà a starle dietro.
Per questo non mi sento di biasimare troppo Mr. Carter né di puntargli il dito contro.
Jay-Z il suo l’ha fatto, e anche egregiamente: ci ha tenuti impegnati e fatto ballare mentre Queen Bee faceva i suoi cambi d’abito. Ca va sans dire, uno più spaziale dell’altro.
Il marito fedifrago ha mantenuto l’atmosfera alta, portandoci su di giri e scaldandoci per il rientro della moglie diva.
In poche parole, Jay-Z è il fluffer musicale di Beyoncé.
E con questo, giustizia è fatta.
Lo show è stata la perfetta messa in scena della loro vita coniugale recente, condita di cuoricini e lieto fine. Insomma, un pastone zuccheroso davanti cui non si poteva davvero rimanere freddi.
Le foto del matrimonio, di Blue Ivy, delle vacanze, e poi i gemelli, gli yacht, lo champagne da 30000 dollari a bolla e via così.
Perché quando c’è l’amore c’è tutto.
Eppure, la favola che mi hanno venduto, io me la sono comprata tutta, in totale venerazione mentre la madre di tutte le madri sculettava tra un pezzo e l’altro.
E quando alla fine è partita Forever Young, vi confesso che ho ceduto, sciogliendomi in un mare di tenerezza e compassione – che si dice sia la manifestazione più alta di amore.
In quei 6 minuti di pezzo, ho trovato nel cuore la forza per perdonare – anche io – il tradimento di Jay-Z.
A differenza dei miei ex, che perdonerò solo quando vincerò almeno un Grammy raccontando le nostre vicende.
Chiudo con un appello ai football club meneghini: mettete assieme le vostre casse e acquistate il cartellino di Beyoncé, è lei l’unica che merita San Siro.
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