Oh, ma come hai fatto a diventare sommelier? mi hanno chiesto molti amici durante gli apericall della quarantena.
Mentre loro tracannavano il quarto prosecchino basic, io guardavo e riguardavo il calice, buttavo dentro il naso e, solo dopo attente riflessioni, prendevo un piccolo sorso di uno spumante metodo classico millesimato Blanc Des Blancs. Taac!
Trentasei mesi sui lieviti, perlage fine e persistente, sentori di crosta di pane, mele e pesca a polpa bianca, mandorla e note minerali di gesso… iniziava più o meno così la mia recita, prima di raccontare dei tre livelli del corso, delle quarantacinque serate di lezione, del difficilissimo esame finale e degli step che mi hanno condotto a ottenere l’agognato pezzo di carta: il diploma da sommelier.
Con voi, Imbruttiti, ho un po’ meno confidenza. Però se ce l’ho fatta io – che prima ero un autentico Giargiana del settore food and beverage – allora il raccontino che state per leggere vi dimostrerà che chiunque abbia la mezza idea di provarci, se ci crede, può veramente farcela.
Mai fino a pochi anni fa avrei pensato di provare il desiderio di saperne di più sul mondo del vino. Ho vissuto la transizione dal Bacardi Breezer al Jack e Cola senza sbatti. Passando per beveroni assurdi dove l’elemento più naturale era il colorante. Oh, ma ve lo ricordate l’Angelo Azzurro?
Già, io ero il cliente più fedele dei peggiori bar di Corvetto. Quando capitava di alzare un pochettino il livello e finivo per puro caso in un ristorantino in zona semi-centrale, mi sentivo parecchio a disagio.
Per darmi un tono e cercare di fare colpo fingevo alla grande, ma della carta dei vini l’unica cosa che ero in grado di capire era la distinzione tra bianchi e rossi. Un pesce fuor d’acqua come può sapere che vino si abbina col branzino al sale e misticanza? Che, poi cazzoè la misticanza?
Cercavo di cavarmela andando a logica. Cena romantica a base di pesce? Vinello bianco importante categorico. Sì, ma quale bianco? Chardonnay? Sauvignon Blanc? Dovevo affidarmi all’istinto. Mai ordinare la bottiglia che costa meno, ma nemmeno salassarsi con i top di gamma. Figa, le basi!
Già, ma per fare breccia nei cuori non serve mica conoscere a memoria tutte le sotto zone della DOCG del Barolo. E allora, come sono entrato davvero nel tunnel?
Da buon Giargiana sono da sempre abituato a imbucarmi agli eventi. Specie quando c’è la possibilità di bere a scrocco. Eccomi allora in prima fila, sei calici di fronte e gente elegantissima in divisa da sommelier pronta a servirmi, dandomi del lei. Comincia una degustazione di salumi in abbinamento a vini lombardi commentata da un gran visir dell’enogastronomia italiana. Oh, quello che dice il tipo è vero. Sento pure io il pepe nero nella Bonarda!
Si sa che la prima dose è sempre gratis, poi la dipendenza subentra in fretta. Presentando il conto. Dopo aver comprato ogni tipo di libro che promettesse di diventare esperti del mondo del vino in poche ore, ho dovuto innalzare di botto il budget per gli aperitivi. Mai più apericena a buffet, solo degustazioni in enoteca!
Sì, ok, tutto bellissimo, ma mancava qualcosa. Il salto di qualità, l’upgrade fondamentale per passare da wannabe a esperto. Chi mi poteva far entrare nel magico mondo del vino di qualità? Per non spendere altri soldi ho cercato la risposta sui social. D’altronde è pieno di gente che posta di continuo sbocciamenti come se non ci fosse un domani.
Tra i miei contatti c’erano, infatti, diversi ganassa. I campioni olimpici della sciabolata nel privé. I fuoriclasse delle quattro bocce di Dompe e cesto di frutta fresca abbinato. Gente che alla prova dei fatti si è dimostrata però tutta fuffa e niente sostanza. Ok, mi mandi foto di conti degni di un magnate russo. E quindi?
Forse dovevo guardare meno al glamour e più alla natura. Zappando tra i congiunti sono arrivato a un lontano parente contadino che dice di fare il vino da decenni. Mi ha presentato una bottiglia della Fanta, riciclata per contenere un liquido dal colore torbido e dall’odore non proprio gradevole, spacciandolo come il vino più naturale e bio del mondo. In realtà la boccia più adatta sarebbe stata quella dell’Aceto Ponti, ma non ho avuto il coraggio di dirglielo. Così mi ha lasciato sei bottiglie e io le ho usate tipo Mister Muscolo. Per sturare il lavandino!
Sconsolato, sono finalmente arrivato a comprendere che dovevo fare le cose sul serio e tornare a scuola. Il percorso si preannunciava molto impegnativo, specialmente in abbinamento all’office. La decisione però era presa e non si poteva più tornare indietro: mi sono iscritto al corso per diventare sommelier!
Le serate a lezione duravano dalle 20 alle 23 inoltrate. Tempo zero e già me ne tornavo a casa a mezzanotte con paccate di libri nella borsa. Migliaia di pagine da leggere e studiare.
Gli amici all’inizio mi sfottevano alla grande. Hai trovato un modo fighetto per spaccarti ‘ammerda in settimana! Dai dicci cosa senti nel vino…la pietra focaia, il catrame, la pipì di gatto, il petrolio, la volpe bagnata in corsa? Grasse risate da parte di tutta l’allegra tavolata.
Che ne sapevano loro? Mentre ero a lezione, prima di arrivare a bere un piccolo sorso, dovevo ascoltare due ore di teoria e, soprattutto, acquisire in fretta un gergo tecnico. Se nella scheda valutavo la sapidità prima dell’acidità, apriti cielo! All’esame levano punti per errori di questo tipo!
Per non parlare della difficoltà iniziale a identificare i profumi nel vino. Dovete riattivare l’olfatto, ci dicevano. E allora tutti con il naso dentro a centinaia di boccette come dei cani da trifola. In quei vasetti c’era qualsiasi cosa, dal miele all’origano, passando per lo smalto per le unghie e il tabacco del sigaro cubano. Che casino!
Dentro di me ero dilaniato dal tormento. Più studiavo, più memorizzavo, degustavo e più diventavo consapevole di non capirne un cazzo. C’era sempre qualcosa che mi sfuggiva. Passavo i miei weekend tra il procedimento di produzione dello Champagne e gli anni di invecchiamento dell’Aceto Balsamico di Modena. Durante ogni viaggio cercavo di capitare vicino a una cantina presso la quale casualmente avevo prenotato una visita. Eppure, avevo sempre l’impressione che qualcosa mi sfuggisse.
Dopo un po’ anche quei simpaticoni dei miei amici hanno capito che facevo sul serio. In quel momento sono passato di colpo da essere lo zimbello alcolizzato a guru della compagnia. Chi sceglie il vino stasera? Tu. Chi lo assaggia? Tu. Potevo dire e fare quello che più credevo. Pendevano dalle mie labbra.
Di lezione in lezione, calice dopo calice, il fatidico esame del terzo livello si avvicinava sempre di più. Oltre 3k di pagine da memorizzare! Figa, una laurea in medicina. Se poi al vino si aggiungono gli abbinamenti con il cibo, il giochino diventa parecchio complicato.
Beh, alla fine sono stato promosso. Non so se a pieni voti, ma comunque dignitosamente. Abbiamo festeggiato sbocciando in Franciacorta. Ci capisco molto di più, ma sono pienamente consapevole che l’agognato pezzo di carta è solo un punto di partenza.
La passione va continuamente alimentata. Durante il lockdown, con alcuni compagni di corso, abbiamo quindi fondato un gruppo privatissimo di degustazione online battezzato CoVin-20. Giusto per esorcizzare, calici in mano, la paura della pandemia. Ora gli amici stanno ricominciando a chiedermi consulenze flash via WhatsApp fotografando le carte dei vini al ristorante, ovunque si trovino. Perché sobrio non è colui che si priva di qualcosa, ma chi conosce che cosa conviene alla sua natura e alla sua cultura (cit. L. Veronelli).
Photo by Dave Lastovskiy on Unsplash
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