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Ora su Linkedin si può aggiungere il lavoro “Genitore a casa”

L'aggiunta della carica di stay-at-home-parent si inserisce in un'operazione che intende far rientrare l'assistenza familiare nel curriculum vitae, oltre che aiutare chi è costretto a prendersi dei periodi off da dedicare alla famiglia allontanandosi momentaneamente dal mondo del lavoro tradizionale.

Nulla a che vedere con titoli come Lavoro presso me stesso o Laureato all’università della vita: la rivincita dei genitori in trappola – causa smart working, DAD, cura dei figli e della casa – arriva direttamente da LinkedIn. La piattaforma social dedicata al lavoro darà la possibilità di aggiungere alle proprie mansioni il titolo di Genitore a casa.

La decisione arriva in risposta all’emergenza sanitaria che ha costretto madri e padri di famiglia a occuparsi della prole, complice un budget non sufficiente a coprire le spese di una baby sitter in assenza dei nonni. A questo si aggiunge anche il desiderio di abbattere il luogo comune che addita i casalinghi come nullafacenti. Perché no, le due cose non vanno necessariamente di pari passo.

La trovata del social, infatti, intende ridare una dignitosa collocazione lavorativa e il giusto valore a tutti coloro che, per 12 o più ore al giorno, si sono comunque fatti il mazzo. Chi si destreggia tra la gestione quotidiana dei pannolini e delle pulizie – ma anche di molto altro – avrebbe skills non indifferenti come empatia, pensiero laterale, problem solving, approccio multitasking, gran senso di responsabilità e capacità di gestire brillantemente lo stress.

L’aggiunta della carica di stay-at-home-parent nel proprio profilo LinkedIn si inserisce in un’operazione ben più ampia che intende far rientrare l’assistenza familiare nel curriculum vitae, oltre che aiutare chi è costretto a prendersi dei periodi off da dedicare alla famiglia allontanandosi momentaneamente dal mondo del lavoro tradizionale.

È soprattutto il triste caso delle donne, a cui spesso non viene riconosciuto l’impegno o che al rientro dalla maternità faticano a trovare un nuovo impiego (nel caso avessero perso il precedente).

“È allarmante quanto l’accudimento dei figli sia un evento ancora così mal visto e mal giudicato dal mondo del lavoro”, ha commentato la mamma, psicologa e psicanalista Elena Benvenuti.

«Nel migliore dei casi, la maternità viene vissuta dai datori di lavoro alla stregua di una malattia, mentre nel peggiore (e purtroppo nel più frequente) dei casi, viene percepita come uno sgarbo che la dipendente fa all’azienda. Senza dimenticare che ci sono realtà lavorative che, in maniera assurdamente discriminatoria, tagliano il problema alla radice, semplicemente non assumendo donne, specie nella pericolosa fascia anagrafica tra i 25 e i 35 anni”, conclude Benvenuti, sottolineando quella che è un’amara realtà.

Questa nuova etichetta professionale non cambierà di certo le sorti dell’umanità né quelle dei genitori nostrani, ma è pure sempre un buon inizio. Non trovate?

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