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giappone

Se ne parla da un po', anche in Italia, del cyberbullismo, e di quanto servirebbero leggi e pene più mirate per chi insulta e bullizza col culo parato dietro a un monitor. Mentre noi stiamo ancora qui a parlarne, il Giappone ha deciso di agire: da adesso chi sfotte qualcuno online rischia multe salatissime se non, addirittura, la prigione.

A maggio 2020 il Giappone è rimasto scosso dal suicidio di Hana Kimura, una stella nascente del wrestling femminile e personaggio tv reso noto dal reality show Terrace House. Aveva solo 22 anni ma molta fragilità, e non ha retto a settimane di insulti che hanno inondato i suoi social network. "Vi voglio bene. Vivete una vita lunga e felice. Mi dispiace” – ha scritto in un ultimo post su Instagram - Ricevo quasi 100 commenti brutali ogni giorno. Non posso negare di sentirmi ferita. ‘Vai a morire, sei disgustosa, vattene via’. Sono sempre stata io la prima a pensare queste cose di me. Grazie per avermi fatto nascere, mamma", ha scritto, prima di togliersi la vita, il 23 maggio 2020.

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Il Paese ha capito, in quel momento, e forse troppo tardi, che con quei coglioni dei cyberbulli era il caso di tirar fuori il pugno di ferro: ecco perché è appena entrata in vigore una riforma del codice penale che introduce pene fino a un anno di carcere e multe più severe, fino a circa 2mila euro, per chi insulta online. Anche il termine di prescrizione per l'insulto è stato rivisto a tre anni, rispetto a un anno. Per il ministro della Giustizia Yoshihisa Furukawa "è importante sradicare atti vili come gli insulti che possono portare alla morte di qualcuno". Il ministro ha comunque voluto precisare che l'obiettivo non è quello di limitare la libertà di parola, per carità. L'intento è quello di dimostrare che il cyberbullismo "è un crimine che deve essere affrontato con severità e agirà come deterrente per le campagne di odio. Il testo, comunque, è stato approvato solamente dopo l’aggiunta di una modifica che ordina che la legge dovrà essere riesaminata tre anni dopo l’entrata in vigore, per valutare il suo impatto sulla libertà di espressione. Intanto, si è fatto un passo avanti. Almeno in Giappone.

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