Skip to content
Arriva il gelato alla patata: la nuova frontiera (insospettabile) del food sostenibile a Milano / Il Parlamento Europeo ha vietato termini come “burger” e “bistecca” per i prodotti vegani, ma noi abbiamo la soluzione / MTV chiude definitivamente: addio a un’icona che ha cresciuto una generazione / Il prezzo medio per affittare una stanza a Milano? 1.137 euro. A ‘sto punto meglio vendersi un rene… / Alla Gen Z lo stipendio non basta più: se non si sentono ascoltati, preferiscono “saltare” da un lavoro all’altro / Finalmente dal 2026 sarà obbligatorio indicare lo stipendio negli annunci di lavoro: fine del mistero (e dell’ipocrisia) / Affittare casa durante le Olimpiadi 2026 conviene: ecco quanto si può guadagnare / Il 1930 non è solo il bar più “segreto” di Milano, ma anche uno dei migliori al mondo / Milano è la città “meglio vestita” al mondo: oh, lo dice il New York Times / Il B Cafè Argentina compie un anno, e tra musica, drink e bella gente si conferma il place to be per chillarsi a Milano / Arriva il gelato alla patata: la nuova frontiera (insospettabile) del food sostenibile a Milano / Il Parlamento Europeo ha vietato termini come “burger” e “bistecca” per i prodotti vegani, ma noi abbiamo la soluzione / MTV chiude definitivamente: addio a un’icona che ha cresciuto una generazione / Il prezzo medio per affittare una stanza a Milano? 1.137 euro. A ‘sto punto meglio vendersi un rene… / Alla Gen Z lo stipendio non basta più: se non si sentono ascoltati, preferiscono “saltare” da un lavoro all’altro / Finalmente dal 2026 sarà obbligatorio indicare lo stipendio negli annunci di lavoro: fine del mistero (e dell’ipocrisia) / Affittare casa durante le Olimpiadi 2026 conviene: ecco quanto si può guadagnare / Il 1930 non è solo il bar più “segreto” di Milano, ma anche uno dei migliori al mondo / Milano è la città “meglio vestita” al mondo: oh, lo dice il New York Times / Il B Cafè Argentina compie un anno, e tra musica, drink e bella gente si conferma il place to be per chillarsi a Milano
CONDIVIDI:
Link copiato!

Negli States impazzano i vini italiani con poco alcol (che noi manco chiameremmo vini)

Secondo i dati di mercato, nei supermercati americani vendono di brutto i vini leggeri italiani, dove leggeri vuol dire che arrivano anche a 5 gradi.

Eh niente ragazzi, l’epoca è quella dei tagli e allora tagliano anche sulla gradazione del vino. Succede negli Stati Uniti, dove da almeno da un secolo il rapporto con gli alcolici non è proprio idilliaco. Da un lato, hanno infarcito le soap opera di bevitori di whisky (sempre soggetti ambigui, se qualcuno ricorda JR e Sue Ellen di Dallas); dall’altro, guai a camminare per strada con una lattina di birra in mano, deve stare sempre nascosta in un sacchetto di carta. Ma torniamo a bomba. Secondo i dati di mercato (quella roba che noi Imbruttiti mangiamo al posto delle patatine molli all’aperitivo) nei supermercati americani vendono di brutto i vini leggeri, dove leggeri vuol dire che arrivano anche a 5 gradi. Ovvove!

È vero che, per simpatia, li chiamiamo “vinello” e “bianchino”, ma quando poi beviamo il vino vogliamo bere “vino”, non “brodino”… Sennò uno si fa una birretta ed è a posto. E non pensate che chi scrive abbia i polifenoli al posto dei globuli rossi, perché quando bevo due sorsi a cena raramente passo oltre. Ma – quando li bevo – voglio che siano due sorsi che spaccano. Ma ve lo immaginate come può sentirsi un Nebbiolo, abituato ai suoi sonori 14°, denudato e portato a 5?! Come lo dovremmo chiamare, Foschia? Comunque, i trend sono chiari: tra i vini fermi, 4 bottiglie di vino italiano su 10 sono a basso contenuto alcolico. Protagonista della “winolution” Stella Rosa della californiana Riboli Family, che avrebbe visto schizzare le vendite da un milione di casse nel 2015 a più di 7 milioni nel 2021.

In soldoni, il marchio fattura 341 milioni di euro sui 900 e passa totali spesi per vini da tavola italiani, spumanti esclusi. E quindi, che cosa fa impazzire gli yankees? Vini demi-doux e frizzanti che arrivano dal Piemonte e che in Italia non potrebbero neanche chiamarsi “vino”, perché troppo poco alcolici e/o perché resi più “bevibili” con aromi alla frutta… ma non sarebbe meglio usare bene l’uva in partenza?! Ma c’è poco poco da lamentarsi, secondo i dati dell’Osservatorio economico dell’Unione italiana vini, nei primi 9 mesi del 2023 più di un terzo degli acquisti di vino italiano nel canale della grande distribuzione Usa è costituito proprio da questi pseudo alcolici. E niente, se ci tagliano anche l’alcol del vino, non ci resta che annegare nei grandi classici della letteratura, come le perle etiliche di Bukowski e la mitica “confraternita del Chianti” di John Fante.

Autore: Daniela Faggion

CONDIVIDI:
Link copiato!