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Ma dai, così, all'improvviso. E chi se lo aspettava? Panini Durini chiude, forse per sempre. Un annuncio arrivato senza anticipazioni tramite un post sui social. "Da domani (lunedì 4 marzo, ndr), tutta la catena Panini Durini - Durini Milano chiuderà le porte al pubblico. 12 anni di storia finiscono. Dal primo bar in via Durini, a Torino, a Genova. Fine" si legge nel post. "Vogliamo rubarvi questi ultimi 5 minuti del vostro tempo senza foto, senza reels, senza panini invitanti, senza cappuccini con latte art bellissima per fare un'ultima cosa: ringraziare tutti voi. Grazie di tutto. Davvero. E non è un addio, in qualche modo ci rincontreremo". Ma dai, possibile? C'è chi azzarda un'operazione di marketing, ma alla fine a che pro?

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La catena Panini Durini è nata nel 2011, ovviamente a Milano, da un'intuizione di Stefano Saturnino, avvocato di origini brianzole diventato poi ufficialmente imprenditore. Nel project, dal 2013 si è aggiunta anche Ilaria Puddu, che ha curato il marketing e la comunicazione, e Alessandro Di Pace, primo gastronomo del primo locale. Ma cosa è stato Panini Durini? Sicuramente un punto di riferimento per la pausa pranzo, il caffettino che ti spezza il lavoro in office, l'aperitivo colorato post work. Un luogo eclettico, semplice ma non banale, instagrammabile, non impegnativo, una via di mezzo tra il ristorante e il bar tabacchi.

Si potevano ordinare cappuccini decorati con la latte art, brioche, pasticcini, insalatone, taglieri, ovviamente panini di ogni tipo, bagel, toast, tramezzini. E i prezzi? Fattibilissimi. Dal primo locale in via Durini (nomen omen) la catena si è estesa fino a raggiungere i 14 negozi distribuiti nelle aree centrali di Milano, più altri tre all’interno di centri commerciali, per poi allungarsi anche a Torino e Genova. Nel 2017 si chiude con un fatturato di 9,5 milioni euro e una proiezione di chiusura prossima agli 11 milioni per il 2018. Nello stesso anno le quote di Pancioc spa, proprietaria del marchio Panini Durini, sono passate dal fondatore Saturnino ad Astraco, società di advisory indipendente presieduta da Nino Dell’Arte.

Saturnino è rimasto socio di minoranza, mentre l'acquirente della maggioranza è un club deal, un gruppone di imprenditori con l'obiettivo di sviluppare ulteriormente il brand attraverso l'apertura di 20 nuovi punti vendita in Italia e all’estero nel corso di un triennio, con un investimento di 5 milioni. Questi progetti però non hanno mai visto la luce, anche a causa dello stop imposto dalla pandemia. E forse proprio l'assenza di "goal" ha portato alla fine della catena. Non ci restano che tanti, tantissimi ringraziamenti, e molte incertezze sul perché sia davvero finita questa storia. E se mai ricomincerà.

"Vi ringraziamo di averci sempre scelto, vi ringraziamo per averci tenuto compagnia in questi lunghi anni. Vi ringraziamo se eravate clienti abituali che venivano tutti i giorni a prendere le stesse identiche cose. Vi ringraziamo se eravate clienti lampo attirati dalle nostre vetrine. Vi ringraziamo se eravate clienti del cappuccio e brioche, ma anche se eravate clienti dell’orzo in tazza di vetro con latte di soia a parte tiepido. Vi ringraziamo per tutto il tempo passato da noi, per ogni panino consumato, per ogni euro che avete scelto di investire nella nostra qualità. Vi ringraziamo per aver speso il vostro tempo sui nostri tavoli e al nostro bancone. Vi ringraziamo per aver condiviso con noi lampi della vostra vita, raccontandoci come stavate, come stava andando l’uscita con la nuova fidanzata, come stava il vostro barboncino. Grazie per aver chiacchierato con noi, grazie per averci fatto compagnia, grazie per aver visto in noi quelle persone che andavano oltre il semplice preparare il caffè. Grazie per averci scelto come le vostre personali sveglie perché dai, come si fa ad iniziare la giornata senza un coffee come si deve? Grazie per averci visto come persone che spendevano il loro tempo in uno dei mestieri più belli del mondo."

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