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Operai cinesi sfruttati in fabbriche/prigioni alle porte di Milano: cosa c’è dietro le borse Valentino

Una società collegata al marchio Valentino avrebbe sfruttato biecamente gli operai cinesi che producono le borse alle porte di Milano.

Quando vedi una borsa di marca e leggi “Made in Italy”, alla mente ti sovvengono romantiche immagini di artigiani di qualche paesello sperduto nell’entroterra che, con pazienza e perizia, cesellano i loro prodotti applicando millenarie conoscenze in fatto di pelletteria e sartoria. Questo ti fa venire di per sé la bava alla bocca e cominci a mettere da parte un po’ di cash per questo Made in Italy: d’altronde, vivi a Milano e vuoi fare la tua porca figura con gli amici all’aperitivo: “Oh, avete visto questa borsa?! Questo è artigianato! Sai quanto costa il vero artigianato?! Che fortuna che abbiamo un ministero per il Made in Italy…

Poi un giorno apri il giornale e, dopo la ministra che pare si compri e regali le borse taroccate (vabbè, c’è da dire che in tribunale le imputano di peggio) e una Venere di Botticelli che sembra sotto effetto di stupefacenti, scopri che quella tua borsa Made in Italy è frutto delle silenziose bestemmie di un operaio cinese chiuso a Opera. No, non nel carcere di massima sicurezza, ma il senso per lui è lo stesso, visto che mangia e dorme lì, lavora senza sosta e – roba da far gelare il sangue nelle vene – perché sia più produttivo, gli hanno tolto i meccanismi di sicurezza dalle macchine che utilizza, quindi non solo si stanca da bestia per gli orari, ma rischia anche di rimetterci una mano o un braccio.

Il tutto per le borsette di Valentino. Secondo quanto riporta il Corriere, infatti, la Valentino Bags Lab, che fa capo a Valentino S.p.a., avrebbe affidato a 7 laboratori-lager cinesi i suoi leccatissimi prodotti. Così adesso la società è in amministrazione giudiziaria e i laboratori fra cui quello di Opera sono stati denunciati per caporalato

Se il caporalato agricolo è odioso ma almeno di notte si deve fermare, perché nei campi non si lavora senza la luce, il caporalato artigianale non conosce orologi e costringe a lavorare i suoi sottoposti di giorno e di notte. Degli ingranaggi di sicurezza tolti lo abbiamo detto…. Ma che dire dei prodotti chimici conservati ad minchiam, mettendo tutti a rischio esplosioni? E dei bagni che secondo i carabinieri che indagano avevano condizioni igieniche da minimo etico?

Insomma, mentre noi ce ne andiamo in giro a farci belli convinti di aver reso un servizio alla nazione, protetti dall’aura magica del brand, qualcuno sta rischiando la salute per due lire. Perché la beffa è anche questa: noi acquirenti troviamo le griffe in negozio a migliaia di euro, ma quei poveri cristi nei laboratori vengono pagati dai 3 ai 7 euro al pezzo a seconda che lo debbano tingere o tagliare. Molti lavorano in nero, devono essere disponibili h24 e sotto stretta sorveglianza. Ai capi dei laboratori lager ogni borsa finita viene pagata fra i 35 e i 75 euro mentre noi in negozio le paghiamo fra i 1900 e i 2300. Eh certo! È made in Italy e lo sapete quanto costa il lavoro in Italia, vero?! Ecco, diciamo che chi ci mangia non è il lavoratore, di certo.

Subito la maison Valentino ha fatto sapere che collaborerà con la giustizia. «Negli ultimi anni ha costantemente intensificato il proprio programma di valutazione dei fornitori», per «garantire una filiera completamente trasparente». E non avrebbe esitato – dice la nota riportata da Corriere – a chiudere rapporti con fornitori «che non rispettavano gli standard etici». Ora però, mi spiegate com’è possibile sostenere di aver intensificato il programma di valutazione dei fornitori se quella che si chiama Valentino Bags Lab e fa parte del gruppo le combina così grosse?! E non in un remoto paese delle Alpi ma a due passi da Milano: a Opera, appunto, o a Trezzano sul Naviglio. Comunque, non se ne abbia troppo a male il povero Valentino Gravani, che vede il suo nome associato a questa brutta faccenda: a suo tempo è toccato anche ad Armani, Dior e Alviero Martini. Tutti sottoposti a commissariamento poi revocato. Mai che revochino la licenza di uccidere, invece.

Autrice: Daniela Faggion

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