Qualche giorno fa un collega che lavora in smartworking dalla sua Valtellina ha mandato una foto sul gruppo Whatsapp. Era il termostato di casa sua e segnava (senza aria condizionata accesa, naturalmente) 23.8 gradi. Subito un altro collega, con grande prontezza di spirito, ha commentato: “A casa mia in Comasina nemmeno se fondo il condizionatore arrivo a 24 gradi!“. Emoticon, saluti e baci, ma anche un momento un po’ cringe di riflessione da parte nostra: “E se ci trasferissimo davvero in montagna?!“.
Con una ricerca online abbastanza facile scopriamo che non saremmo gli unici, anzi. A dispetto di quanto si ripete spesso, la montagna che si sta spopolando sarebbe una balla clamorosa. Corrado Zunino su Repubblica ci ha scritto praticamente una tesi di laurea, ma noi che siamo imbruttiti e sempre di corsa abbiamo rimasticato il pezzo in maniera decisamente più sintetica. Sentite qua.
È il 2008 e scatta la crisi globale, mondiale, totale innescata dal crac di Lehman Brothers. Il classico battito di ali di farfalla che determina imprevedibili conseguenze in giro per il mondo. Però, se tutti ci ricordiamo la gente che a Londra si spostava dagli uffici di quel palazzone monumentale con i cartoni in mano, abbiamo fatto meno attenzione a un altro spostamento che cominciava qui in Italia, qualche mese dopo: persone che si mettevano alla ricerca di case meno costose. Erano per lo più immigrati e si sono spostati dove gli Italiani avevano lasciato parecchio spazio libero nei decenni precedenti: Alpi e Appennini. Un totale di 150mila stranieri arrivati sopra i 600 metri, da Nord a Sud, fra il 2009 e il 2013.

Nei cinque anni successivi, fra il 2014 e il 2018, gli stranieri che arrivano a vivere in quota sono un po’ meno (60mila) ma in compenso gli italiani che si trasferiscono in pianura e in città sono molti meno: appena 7000 anime. Tra il 2019 e il 2023 poi – con in mezzo il Covid – il saldo fra partiti e arrivati ha superato le 100mila persone. Boom! Abbiamo una tendenza! Prontamente registrata anche dall’Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem) nel suo nuovo Rapporto montagna.
Lasciando perdere le percentuali e le statistiche, abbiamo capito che negli ultimi 10 anni, oltre al Covid e al fresco d’estate, c’è stato un motivo molto concreto che ha favorito gli spostamenti… e come si chiama il nostro motivo concreto preferito? CASH! che si è romanticamente tradotto in Green community e Comunità energetiche rinnovabili. Come ricorda Zunino, “Con i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza a disposizione, quasi duecento realtà territoriali hanno presentato progetti verdi. Il Pnrr ha finanziato con 135 milioni di euro trentasei strategie territoriali di Green community, che dovranno eseguire gli interventi – efficienza energetica, mobilità compatibile, rigenerazione urbana – entro la fine del 2026“.
Insomma, se il cambiamento climatico non era una spinta psicologica abbastanza forte, ci ha pensato la spinta economica. Sicuramente un’altra riflessione “in soldoni” sarà presto necessaria rispetto a tutta l’industria sciistica – a noi Milanesi, si sa, sciare piace un casino, ma senza neve è un bel disastro. Quindi? Le montagne potrebbero diventare poli tecnologici: visto che l’istruzione universitaria di chi vive in montagna è superiore alla media nazionale, chissà che qualche cervellone da qui eviti la fuga e si metta a pensare a una soluzione geniale.
Autrice: Daniela Faggion