Settimana corta: sogno di (quasi) ogni lavoratore, incubo di ogni capo che vive di call alle 20. Eppure EssilorLuxottica – il colosso nato nel 2018 dalla fusione tra la nostra Luxottica e i francesi di Essilor – ha deciso di spingere su questo modello in Italia. Quindi meno giorni in ufficio, stesso stipendio. Taac.
La prova era partita ad aprile 2024 in alcuni reparti e i risultati sono stati talmente buoni che ora l’azienda, insieme ai sindacati, ha deciso di estendere la cosa a un intero stabilimento produttivo (anche se ancora non si sa quale: in Italia hanno 12.500 dipendenti).
Come ci sono arrivati
– Prima hanno testato con pochi dipendenti in singoli reparti.
– Poi hanno esteso a un reparto intero.
– Adesso puntano a un’intera fabbrica.
Insomma, metodo tipicamente imbruttito: prima mini test, poi “scaliamo il modello” come i guru della start-up.
Al momento sono coinvolti lavoratori volontari in sedi tipo Agordo, Sedico, Cencenighe Agordino, Pederobba, Lauriano e Rovereto (Milano per ora out). In un anno hanno aderito 1.500 addetti, con 20 giorni di riposo extra: 5 presi dai permessi, 15 regalati dall’azienda. Totale: circa 3.500 persone hanno già avuto più flessibilità, e l’azienda ha registrato meno infortuni, più efficienza, meno turnover e pure un taglio dei consumi energetici. “Tra le principali novità introdotte dal nuovo accordo – spiega una nota – c’è l’ulteriore evoluzione del modello di organizzazione del lavoro a settimane corte introdotto con successo più di due anni fa dal contratto integrativo aziendale 2024-2026, che prevede 20 giorni di riposo aggiuntivi l’anno, tipicamente i venerdì, a parità di stipendio“
«Crediamo nell’importanza di sviluppare nuovi modelli che, attraverso una diversa gestione del tempo, favoriscano contemporaneamente la qualità della vita e la qualità del lavoro – ha detto Francesco Milleri, presidente e Ad di EssilorLuxottica –. Lo facciamo valorizzando le competenze straordinarie già presenti nelle nostre fabbriche italiane e favorendo al tempo stesso la nascita di nuove professionalità. È un impegno che va oltre l’azienda e rappresenta un contributo al sistema di innovazione dell’intero Paese».
Un modello che, a detta dell’azienda, ti fa lavorare meglio e più dritto, senza girare a vuoto come in certe call infinite. In pratica: meno sbatti in ufficio, stessa busta paga e più tempo libero per farti i cavoli tuoi. Risultato? Dipendenti meno esauriti e più gasati, che tornano al lavoro con più motivazione.

Il trend in Italia
La settimana corta non è un’invenzione loro: già testata da big player tipo Intesa Sanpaolo, Lamborghini e Lavazza. Ma occhio: tutte aziende giganti, con soldi e strutture per reggere l’esperimento. Per le piccole imprese italiane, che campano a margini risicati e non possono permettersi un giorno in meno di lavoro, resta un modello difficile da gestire.
Perché sì, la settimana corta fa bene al morale e alla salute, ma richiede una riorganizzazione completa: garantire i turni, assicurare i servizi continuativi e incastrare le presenze senza mandare tutto in tilt.
Morale: per ora la settimana corta in Italia è roba da multinazionali con spalle larghe. Ma se funziona, chissà che un domani anche il panettiere sotto casa non chiuda bottega il venerdì e si goda il weekend lungo.