C’erano una volta il passaparola tra le amiche, gli sfoghi post-rottura (e rotture) e le serate di lacrime davanti a un bicchiere di vino o a una vaschetta di gelato. Poi sono arrivate le app e i pettegolezzi sugli ex fidanzati sono diventati vere e proprie recensioni, con tanto di stelle, commenti ed emoji incazzate.
“Bel sorriso, ma ghosta alla prima discussione”
“4 stelle: mi ha spezzato il cuore, ma mi ha presentato al suo cane”
“Attenti a Gianmaria: super carino ma sparisce dopo il terzo appuntamento”
“Ludovica: simpatica, ma ha tre identità su Tinder”.
Le recensioni amorose stanno diventando un genere letterario a sé, a metà fra un diario segreto reso pubblico e un feuilleton d’altri tempi. Se però il primo impatto è divertente, a ben vedere c’è anche un risvolto un po’ inquietante… quando non penalmente rilevante, quindi occhi aperti!
L’app Tea, tra pettegolezzo e autodifesa
Negli Stati Uniti Tea Dating Advice è stata un vero successo: roba che in due settimane è diventata la numero uno nella categoria “Lifestyle” di App Store con quasi un milione di download. Non è solo una vetrina di ex pentiti o un confessionale di cuori infranti: Tea si presenta come uno strumento di sicurezza per le donne, perché le utenti non solo possono accedere – previa verifica con selfie e intelligenza artificiale – e lasciare recensioni anonime su uomini con cui sono uscite, ma possono anche caricare foto, inserire nomi, lasciare avvisi personalizzati… in pratica, un’evoluzione dei gruppi Facebook tipo “Are We Dating the Same Guy?” ma con un’interfaccia patinata e un solido algoritmo al posto del passaparola.
Dietro Tea c’è una storia particolare: il fondatore Sean Cook (ex manager di Salesforce) ha creato l’app dopo che sua madre era rimasta vittima di catfishing e truffe sentimentali. Per questo Tea non è solo un social degli amori finiti male, ma soprattutto un mezzo per verificare precedenti penali, fare reverse image search e consultare database di molestatori sessuali. Secondo gli sviluppatori, avrebbe già aiutato oltre 1,7 milioni di donne. Tutto molto bello, finché non è arrivata la nota dolente. A luglio, alcuni utenti di 4chan hanno trovato un database collegato a Tea contenente selfie e documenti d’identità delle iscritte. Boom: l’app nata per proteggere si è trasformata in un caso da manuale di violazione della sicurezza.
Tea vs TeaOnHer
Ovviamente, i maschi alpha non sono rimasti a guardare e hanno messo a punto il contrattacco: TeaOnHer, lanciata da una piccola società chiamata Newville Media, versione maschile dell’app originale. Stesso concetto, ma ruoli invertiti: uomini che recensiscono donne, con tutto il corredo di stellette, commenti e descrizioni. Una guerra dei Roses 2.0. Anche in questo caso l’app è finita al centro di uno scandalo sulla gestione dei dati: selfie e documenti personali accessibili pubblicamente, email non criptate, perfino le credenziali degli amministratori lasciate sul server.
In principio fu Lulu
Tra le app più chiacchierate per sputtan… ehm, per recensire gli ex c’è Lulu, app lanciata ormai diversi anni fa che permetteva alle donne di recensire in forma anonima gli uomini con cui erano uscite. L’algoritmo proponeva categorie surreali ma divertenti: “#mamma’sboy”, “#nonrisponde”, “#regaladettagli”, “#baciabene”. Il tutto con tanto di rating… ma ovviamente zero consenso da parte degli uomini coinvolti. I profili “valutati” venivano generati automaticamente a partire dagli account Facebook e i diretti interessati non potevano difendersi. Non è andata meglio ad altre app simili – da Peeple (definita dai critici come “Yelp per le persone”) a ExRated – che nel tempo si sono scontrate con una valanga di polemiche, chiusure forzate e immancabili denunce per violazione della privacy.
Se già sui social ogni post è un potenziale caso giudiziario, immaginate che cosa possa succedere quando si entra nel territorio minato della reputazione personale. Secondo il GDPR – il Regolamento europeo sulla protezione dei dati – le opinioni che riguardano una persona identificabile (tipo: “il mio ex, Mario Rossi, ce l’ha piccolo e non lava i piatti”) sono dati personali sensibili. E no, non basta dire che è “uno sfogo privato”: se lo metti su un’app pubblica è pubblico, eccome! Il fatto che le piattaforme non chiedano il consenso delle persone recensite equivale, in termini legali, a costruire senza permesso una vetrina digitale della loro vita privata. E certo nessuno vuole che la propria vita sessuale e sentimentale si trasformi in un e-commerce (peraltro, non retribuito!).
In definitiva: la tentazione è forte, fortissima, ma è meglio resistere e optare per una sana e lacrimevole telefonata fiume con un amico!