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Il vostro lavoro vi fa cagare ma non riuscite a mollarlo? Benvenuti nel job hugging

E figurati se non c’era un termine inglese anche per “stare attaccati alla cadrega“. Adesso quelli fighi (loro?!) dicono job hugging ed è quella cosa che forse vi è capitato di fare anche se non sapevate si dicesse così. I più eleganti usano anche l’espressione “stare con il c*** al caldo”, ma noi ribadiamo che […]
30 Settembre 2025

E figurati se non c’era un termine inglese anche per “stare attaccati alla cadrega“. Adesso quelli fighi (loro?!) dicono job hugging ed è quella cosa che forse vi è capitato di fare anche se non sapevate si dicesse così. I più eleganti usano anche l’espressione “stare con il c*** al caldo”, ma noi ribadiamo che “attaccàti alla cadrega o al cadreghino” era già chiarissimo.

Ma di cosa stiamo parlando?

Dunque: presente quando vi accorgete che l’amore è finito ma non mollate il fidanzato o la fidanzata? Ecco, lo stesso succede anche con il posto di lavoro. I motivi? Ne ha parlato l’Economist. Abitudine, insicurezza, mancanza di ambizione, confusione sui propri obiettivi e, perché no?, anche il fatto che a differenza del partner (che non è necessariamente ricco) il lavoro di dà uno stipendio cui spesso facciamo fatica a rinunciare.

Ed è così che – dopo quiet quitting, great resignation e job hopping – ci arriva sul tavolo oggi un altro bell’anglicismo auenaghena: job hugging, che tradotto in italiano è quell’inspiegabile attaccamento quasi morboso al proprio lavoro anche quando non ci piace più o non ci fa più bene. La domanda più ovvia è: perché? Vediamo le risposte per noi Imbruttiti.

Partiamo da una premessa. Se per molti il lavoro è quella pausa necessaria fra la colazione e l’aperitivo, per altri è l’unico scopo della giornata: una coperta di Linus che li fa sentire sicuri anche se è zozza e ormai logora… Niente, loro sono felici solo se hanno quella cosa lì sotto mano. Niente a che fare con l’abnegazione, la fedeltà aziendale o la passione per il proprio mestiere, però: qui parliamo di paura del cambiamento, insicurezza o dipendenza da una routine nota. E a ben vedere, per i datori di lavoro dei dipendenti così mollaccioni che cosa porteranno mai di buono?! Solo il fatto che di certo la mattina si presentano.

Attenzione: non parliamo di persone inconsapevoli. I job hugger spesso sanno che il loro lavoro gli ha rotto pesantemente il caXXo ma… c’è un ma: non riescono a mollarlo, per tanti motivi che abbiamo più o meno anticipato:

Sicurezza economica. La paura di perdere uno stipendio fisso è una delle principali ragioni per cui molti restano bloccati: “Uè, figa, di ‘sti tempi dove vuoi andare?!”.

Identificazione con il lavoro. Quando vi presentate dite prima il nome o il vostro mestiere? Siete l’avvocata Fumagalli o Rossella? Siete il dottor Visentini o Pierugo? Se il lavoro è la vostra carta di identità, allora potreste essere in questa situazione.

Condizionamenti culturali. Diciamo che in Italia il “posto fisso” è ancora considerato una benedizione, un traguardo, qualcosa da tenersi stretto a prescindere da tutto. Come l’orsacchiotto da abbracciare, appunto.

Paura dell’ignoto. “Ma chi vuoi che mi prenda?!” “Ma dove vado alla mia età” “Non ce la faccio a imparare un altro mestiere”… Il timore di una scelta sbagliata, di non essere “abbastanza”, o di non trovare nulla di meglio paralizza anche i migliori. Specie se non sanno di esserlo.

Comfort zone. Una routine consolidata, un tragitto conosciuto per arrivarci, pregi e difetti dei colleghi già noti, la conoscenza dell’ambiente: presente quando si dice che “ci si affeziona anche al porco”?! Ecco, più o meno…

Quindi per tutti questi motivi spesso stiamo attaccati al respiratore, anche se è collegato a un gas di scarico e infatti le conseguenze non si fanno aspettare. Come ci si sente? Di m****. Sensazione di insoddisfazione costante, stress e frustrazione, perdita di motivazione, energia e autostima: sono tutti sintomi che qualcosa nella propria relazione con il lavoro non funziona.

Il rischio, peraltro, non è solo di avere una serie di zombie demotivati in giro, ma anche delle aziende che vanno poco e male, perché i dipendenti ci sono ma in realtà non ci sono davvero. (Anche per questo c’è una parolina magica in inglese: presenteeism. Giuro che voglio conoscere la creatura nascosta nel dizionario inglese che sforna senza sosta queste espressioni…). E poi ancora persone che non sono in grado di cavalcare il cambiamento, che resistono al progresso, che osservano tutto quello che accade con grande diffidenza. E attenzione: non dipende affatto dall’età.

Se vi siete riconosciuti in questo quadro, non preoccupatevi: noi non lo diremo a nessuno! Però voi fate qualcosa perché le cose potrebbero peggiorare. Naturalmente cominciate con piccole cose (tipo ricordare dove avete salvato il cv o aggiornare il profilo LinkedIn) e cercate di confrontarvi con persone che si sono già liberati dal fardellone: parlare con qualcuno che ci è riuscito è sicuramente il modo migliore per farsi coraggio e… scadregarsi!

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