Che il lavoro stress, soprattutto a Milano, non è una grandissima novità eh. Però ogni volta ci tocca scrivere che “aumenta il burnout”, la gente è sempre più insoddisfatta, addirittura c’è gente che lascerebbe il lavoro pur di ritrovare la serenità. L’ultima ricerca, condotta da Unobravo, servizio di psicologia online e Società Benefit, ci racconta che l’andazzo non è cambiato, anzi: oltre otto italiani su dieci hanno pensato almeno una volta di lasciare il lavoro per colpa dello stress. E metà lo ha già fatto davvero. In un Paese dove il “posto fisso” è ancora considerato il Sacro Graal, non è proprio un dettaglio.
Stress, ansia e senso di inadeguatezza
La ricerca, realizzata su 1.700 persone, fotografa un Paese intrappolato tra due estremi: da una parte la cultura della performance (“devi spaccare sempre”), dall’altra il bisogno crescente di benessere psicologico. Questo però ci rende una generazione di lavoratori stanchi, ansiosi e convinti di non essere mai abbastanza.
Il 66% degli intervistati ammette di sentirsi inadeguato rispetto alle aspettative di capi e colleghi. Più dell’80% prova sensi di colpa per non aver fatto “abbastanza” o per non aver lavorato più ore del dovuto.Non serve un master in psicologia per capire che non è sostenibile.
E poi c’è il famoso “equilibrio vita-lavoro”, che in teoria dovrebbe bilanciare tutto… ma in pratica non esiste. Oltre il 67% degli italiani mette da parte sé stesso, la famiglia o gli amici per il lavoro. E tra chi ha figli, quasi uno su due ammette di non riuscire a dedicargli abbastanza tempo.
Ci tocca quindi provare senso di colpa dentro e fuori dal lavoro.
Che poi – raga – lo stress non resta mica solo nella testa eh. Più della metà del campione soffre di sintomi fisici — tensione, tachicardia, mal di stomaco — e quasi uno su due non dorme bene per pensieri legati al lavoro.

Le aziende non sono sul pezzo
Mentre le persone cercano un minimo di sostegno, le aziende spesso non sembrano ancora pronte.
Il 75% dei lavoratori sente che il proprio contesto professionale non valorizza la salute mentale, e il 66% teme di essere penalizzato o addirittura licenziato se ammettesse di essere stressato o meno produttivo. Lo stigma, insomma, è ancora forte: “se dici che sei stanco, vuol dire che non reggi la pressione”.
Ma cosa vorrebbero davvero i lavoratori italiani? Alla domanda “cosa cambieresti del mondo del lavoro in Italia?”, la risposta più frequente è chiara: stipendi più giusti e riconoscimenti reali (62%), seguiti da più attenzione alla salute mentale (50%). Ci sta.
Un dato interessante riguarda il lavoro da remoto: il 58% dice che ha ridotto lo stress. Un tema che torna frequentemente: il bisogno di autonomia e flessibilità, non va però di pari passo con l’evoluzione dei modelli lavorativi.
Come spiega la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo:
“Quando la paura di non essere all’altezza diventa la norma, potrebbe non essere più solo stress: è la cultura della performance che entra dentro di noi, fino a condizionare come ci percepiamo.”
Il rischio è quello di trasformare il lavoro da spazio di espressione a metro di valutazione personale: se non performi, non vali. Il vero obiettivo, invece, dovrebbe essere riconoscersi anche al di fuori della sfera lavorativa.
Lo conferma anche Maddalena Mendola, Group Wellbeing & HSE Director di Engineering
“In Engineering crediamo che prendersi cura del benessere mentale significhi aiutare le persone a sviluppare consapevolezza di sé, gestire meglio lo stress e affrontare le sfide con equilibrio. È uno dei pilastri della nostra strategia di wellbeing.”
Il messaggio è chiaro: il benessere psicologico non è più una questione privata. È un fattore strategico per le aziende e una condizione di sopravvivenza per chi lavora. Perché se la cultura della performance non rallenta, finirà che la prossima emergenza aziendale sarà il burnout collettivo. Non ci sorprenderebbe.
                    
                            
                            
                            








