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Il nostro stipendio è sempre più basso: in quattro anni è calato di quasi il 10%

Stipendi in retromarcia: otto passi indietro in quattro anni... Se vi sembra di non arrivare a fine mese, non siete gli unici!
6 Novembre 2025

Se “la fine del mese” arriva molto prima della fine del mese, sappiate che non vi si sono bucate improvvisamente né le mani, né le tasche: sono proprio i prezzi che corrono come lippe, mentre gli stipendi arrancano come uno Scarabeo smarmittato. A dirlo è l’ultimo rapporto Istat: a settembre 2025 i salari reali restano più bassi dell’8,8% rispetto all’inizio del 2021. Quattro anni in cui l’inflazione ha fatto il suo mestiere nel migliore dei modi — grattare il valore del denaro — mentre la crescita nominale delle retribuzioni non è bastata a restituire ossigeno al portafogli, sempre più tristemente leggero.

Così, mentre il costo del carrello, dell’affitto e del pieno salgono, le nostre buste paga sembrano ferme a un’altra epoca. E se è vero che nel terzo trimestre del 2025 gli stipendi sono aumentati del 2,6% su base annua, la verità vera è che il recupero è lento e un po’ casuale. I dipendenti pubblici tengono un po’ meglio (+3,3%), mentre industria e servizi privati si accontentano di un modesto +2,3% e +2,4%.

Contratti scaduti e pazienza infinita

Il vero nodo resta quello dei rinnovi contrattuali. A fine settembre, ben 29 contratti collettivi erano ancora in attesa di rinnovo, bloccando la paga di oltre 5,6 milioni di lavoratori — praticamente un italiano su due tra i dipendenti. Il tempo medio di attesa per l’aggiornamento? Quasi due anni e mezzo. Ma non è che nel frattempo i prezzi restano quelli di due anni e mezzo prima… Tra i “dimenticati”, anche i giornalisti: il loro contratto è scaduto nel 2016, quasi 10 anni fa. Quindi sappiate che quando leggete un articolo sulla crisi economica la notizia è molto probabilmente di prima mano da parte di chi la scrive.

Oggi solo 46 contratti risultano effettivamente validi per la parte economica, coprendo 7,5 milioni di lavoratori. Nel terzo trimestre ne sono stati firmati cinque nuovi — due nell’industria, uno nei servizi, due nella pubblica amministrazione — ma il ritmo resta quello delle casse del supermercato al sabato mattina.

Do you know “fanalino di coda” dell’Ocse

Peraltro, mentre in Italia perdiamo il sonno per il rinnovo degli stipendi, altrove le paghe crescono più in fretta. A parità di potere d’acquisto, la retribuzione media annua italiana si ferma a 38.600 euro, contro una media Ocse di circa 45.900. Ventunesimo posto su trentaquattro. Giusto per rosicare un po’: in Germania si sfiorano i 53mila euro, in Francia i 46mila e perfino la Spagna, tradizionalmente più indietro, si avvicina pericolosamente.

Cause note, soluzioni rimandate

Le ragioni del divario sono tutt’altro che misteriose: produttività stagnante, contratti scaduti, un esercito di lavori precari e part-time e la solita difficoltà nel bilanciare salari e inflazione in tempo reale. In molti casi, gli aumenti di stipendio se li mangiano tutti i rincari: si guadagna di più ma è solo un’illusione. E quindi che succede? Le famiglie tagliano sulle spese (che vuol dire che qualcun altro non venderà i suoi prodotti e taglierà sulle spese…), i giovani posticipano i progetti e hanno il cassetto dei sogni ormai chiuso a chiave. Per dirla con una bella frase a effetto, l’Italia lavora ma non si sente più ripagata… se mi citate potete riciclarla alle feste.

Peraltro, si tratta di un copione che si ripete da decenni. Dal 2000 l’Italia cresce in media dello 0,2% l’anno, contro il +1,3% dell’Eurozona e, come abbiamo visto, una lentezza nel rinnovo dei contratti per cui, quando arriva l’aumento, l’inflazione lo ha già bruciato. Poi c’è il famoso cuneo fiscale, che resta tra i più alti d’Europa: quasi la metà del costo del lavoro se ne va in tasse e contributi.

Non aiuta neppure la diffusione di lavori a bassa produttività, soprattutto nei servizi, nel turismo e nella logistica, dove la concorrenza al ribasso schiaccia i compensi. E mentre altri Paesi investono in formazione, digitalizzazione e contrattazione di secondo livello, in Italia ciao ciao mare…

Le soluzioni? Sulla carta ci sono tutte: una riforma organica dei contratti, una maggiore indicizzazione dei salari all’inflazione, un taglio stabile delle tasse e politiche industriali mirate alla produttività. Ma tra annunci e decreti l’unica costante è la distanza tra le intenzioni e buste paga.

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