Frappe, bugie, cenci o chiacchiere. Tanti nomi per il dolce simbolo del Carnevale per antonomasia. Che tua nonna li intinga a mo’ di pinzimonio in 8kg di zucchero o che sforni 12 cabaret della sua cosiddetta versione lait, proprio non ce n’é: sono parte dei nei nostri cuori, della nostra infanzia, e dei cuscinetti adiposi.
Ogni regione ne ha una sua versione con tanto di ricetta e variazione di nome: dal Lazio alla Sicilia prendono il nome di Chiacchiere; in Liguria e Piemonte diventano Bugie e i vicini Toscani li chiamano Cenci. Ma non solo. Oltre a questi termini da tutti utilizzati in modo confusionario ne esistono altri: Guanti in Campania, Cunchielli in Molise, Cròstoli o Grostoli nel Polesine, Lattughe a Mantova e Brescia e in Sardegna Maraviglias o Meravigle (nome più che azzeccato!).
Le radici di questo dolce – e dei suoi nomi – si ritrovano nelle origini dello stesso: le Bugie o Frictilia risalgono ai tempi dell’Impero Romano che ne ha favorito la diffusione. L’impasto fatto di farina, uova, tagliato a striscette e fritto con strutto, era un dolce tipicamente invernale – visto l’apporto calorico – e veniva preparato in concomitanza di qualche festa pagana come i Baccanali o Saturnali, antesignani del Carnevale.
Ogni ricetta che si rispetti ha ovviamente le sue leggende. La più nota riguarda la sovrana Margherita di Savoia, colei che ci ha regalato la pizza, santa donna! Si narra che un giorno, spinta dal languorino nel bel mezzo di una lunga conversazione a corte, chiese a un cuoco di preparare qualcosa di dolce e sfizioso per lei e gli ospiti. Insomma, tra una chiacchiera e l’altra, ecco che nacquero per l’appunto i dolci che tutti conosciamo.
Che tu le condisca con nutella, zucchero a velo, miele, le frigga con olio di semi o con lo strutto per restare fedele alla tradizione in barba ai vegani-animalisti; che tu scelga il forno anziché la friggitrice bella crasta… Una chiacchiera tira l’altra (e non parliamo di gossip). Mettetevi il girovita in pace!
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