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Lifestyle
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C’è un meccanismo (sbagliato, a volte) nella mente di tanti, compresa la mia, che porta a desiderare di essere nati e vivere in altri anni, in altre epoche. Eppure a pensarci, e nemmeno troppo, il nostro momento è una figata: al netto degli sbatti quotidiani, possiamo viaggiare e comunicare come non mai, abbiamo mille possibilità, nuovi spazi, Netflix, start up innovative, sushi ovunque, la Champion’s League.

 

Eppure qualcosa manca, o qualcosa si è evoluto ma sarebbe piaciuto viverlo. Perché tra mille call e brief, tra un tremendo passaggio di Fedez alla Radio e lo spot tv dell’Isola dei Famosi, tra i risvoltini degli hipster e gli all you can eat, si respira una Milano meravigliosamente europea, e meno milanese.

Tutti bravi oggi su Instagram, a fare i fighi con i filtri degli altri. Ma mi hanno raccontato della Milano anni ’80, della vera città della moda, e del fare brutto in giro tra gruppi per le vie del centro.

E io volevo fare il paninaro.

Capiamoci, mi piace girare con l’iPhone oggi e vivere la Milano 3.0… ma che figata sarebbe per un po’ fare un salto temporale e vivere gli anni ’80 in San Babila?

Premessa, per i Giargianellos che si fossero persi qualcosa: chi sono i paninari? Sono quelli che definiremmo oggi i membri di una sottocultura giovanile, nata a Milano negli anni ’80, con l’ossessione per la griffe nell’abbigliamento e in ogni aspetto della vita quotidiana, il rifiuto della politica (da non confondere infatti con i Sanbabilini) e l’adesione a uno stile di vita fondato sul consumo, il divertimento e la spensieratezza. Queste, all’incirca, le definizioni che si trovano in giro. Poi oh, se non coincidono al vero, mica colpa mia: neanche ero nato, ancora!

Non stiamo però parlando dei Sancarlini.

Dalla musica allo slang… sapete che risate ci si poteva fare in giro con i paninari? Io immagino, e di certo farei cambio con gli hipster e i fighetti radical di oggi, ad esempio. Per ALMENO 5 motivi:

Senso di appartenenza

Credit immagine

Non ci sono colletti della Fred Perry alzati o barbe lunghe di Bullfrog che abbiano avuto così tanto senso del gruppo trasmesso come i paninari. Divertirsi insieme, phega. Ecco perché oggi ci sono anche i raduni, cosa che non accadrà sicuramente per gli hipster dei giorni nostri.

La Musica

 

Hanno avuto pure la loro canzone. È Paninaro dei Pet shop Boys. Senza dimenticare che i paninari ascoltavano pezzoni come gli Wham! o i Depeche Mode, mica i The Kolors o Rovazzi, per intenderci.

Lo slang

Non c’era la gara all’inglesisimo a cazzo più inutile, ma si andava a cuccare, a smerigliare (mangiare), lo sbatti era dato dai sapiens (i genitori), ma tanto «non me ne sdrumo un drigo», (ossia l’odierna fregacazzo, per intenderci). Tanta roba.

L’Outfit

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E se devi farti vedere, fallo bene. Timberland ai piedi, felpa Best Company, Monclar, El Charro… roba che si nota. Semplicemente Super, non Supreme.

Il fast Food, fatto bene

Più di tutti, da Burghy. Un’americanata davvero Made in Milano, con pochi e strabuoni panozzi che ciaone al McDonald’s e alle varie quinoa con avocado e zenzero dei veganfooodbistrot di oggi.

Bella lì paninari, rispetto per voi e per gli Yuppies. Troooppo giusti. E chi dimentica è complice, o semplicemente un Giargiana.

Credit immagine di copertina

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