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Lifestyle News
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Un sabato di alcune settimane fa, io e la mia ragazza siamo andati in centro a Londra per mangiare Sushi. Finita la cena, alleggeriti nel portafoglio e nello spirito, iniziamo a passeggiare con largo anticipo verso il bar dove avremmo poi raggiunto alcuni amici per un drink. 

Il destino vuole che grazie a quella magica passeggiata ci trovassimo a Soho, storico quartiere gay della capitale che ancora oggi, sebbene in maniera più bipartisan, continua a strizzare l’occhio a varie passioni della vita notturna. 

Guidati dalle oscure trame del dio Bacco, finiamo davanti a un mastodontico sexy shop e, come due liceali in gita, decidiamo che entrare sarebbe stato il miglior modo per ingannare l’attesa.

Per carità, non è la prima volta che finisco in un negozio di quel tipo, ma la varietà dell’offerta commerciale finisce per lasciarmi abbastanza esterrefatto. Va bene il vibratore, ma quando il suddetto attrezzo ha le dimensioni di una gamba di Shaquille O’Neal è difficile mantenere un atteggiamento disinvolto. 

Tant’è che la mia ragazza finisce per capire il mio disagio e inizia a sfottermi:

«Fai sempre il figo, poi ti porto in un sexy shop e ti spegni come un lumino…»

«Carlotta sono circondato da cazzi di gomma. Non rompere i coglioni»

I classici litigi estivi tra innamorati. 

Sepolta l’ascia di guerra e dribblato un commesso che voleva «aiutarci nella scelta del nostro vibratore», decidiamo che è tempo di andare, non prima però di aver acquistato un souvenir che celebrasse degnamente l’evento. Alla cassa, poco prima dell’uscita, erano esposti probabilmente gli unici due oggetti che potevano essere acquistati senza particolare imbarazzo: profilattici taglia XL, e delle adorabili manette pelose blu elettrico. Sorprendentemente ma non troppo, Carlotta non prende in considerazione la prima opzione e lasciamo il negozio con un paio di manette fiammanti. 

Passano due settimane e io e la mia dolce metà stiamo preparando le valigie per quelle che saranno le nostre vacanze Italiane. La nostra prima vacanza insieme e quella che sancirà il suo incontro con mia madre e mio padre. Vuoi non portarti delle manette di pelo ad un evento simile? Siamo abbastanza furbi da metterle nel bagaglio da stiva e ci dimentichiamo della loro esistenza per diversi giorni. 

Aeroporto Internazionale di Pisa. 8 giorni dopo. Fine delle vacanze.

Volare continua a mettermi a disagio. Sempre. Nonostante tutto, però, le nostre vacanze a cavallo tra le 5 terre e Portofino sono state talmente belle che mi presento all’aeroporto guidato da un inatteso ottimismo. Arrivati al controllo sicurezza, i nostri bagagli, attentamente posizionati sul rullo, stanno scorrendo inesorabilmente sotto gli occhi attenti dello scanner fino a quando la bella ragazza della sicurezza…

«Posso aprire la borsa?»

Per inciso, la borsa era di Carlotta. Ma io, in preda a una delle mie innumerevoli trasformazioni nella copia scema di Christian De Sica, rispondo prontamente alla ragazza con un esageratamente sorridente…

«Certoooo. Ci mancherebbe. Faccia pure». Un patetico coglione. 

Fruga di qui e fruga di là, alla fine sento quel maledetto rumore. Quel tintinnio che ai più avrebbe probabilmente ricordato quello di un innocente mazzo di chiavi, ma che a me, che la coscienza l’ho così sporca da dover pippare il Napisan, non ha potuto che risvegliare il sentore che quelle manette del cazzo fossero finite nella borsa sbagliata. 

Eccole lì, in tutto il loro splendore. Sventolate per il pubblico ludibrio di tutta la sezione sicurezza dell’aeroporto.

«Mi dispiace, ma queste non posso farvele passare», sancisce senza appello la ragazza. 

Il mio sguardo, a metà strada tra il divertito e l’imbarazzato, finisce poi per incrociare quello del suo collega. Sta visibilmente facendo fatica a trattenere le lacrime e mi rivolgo a lui in cerca di una minima comprensione maschile.

«Dai, alla fine sono sicuro avrai visto di peggio…»

«Non puoi neanche immaginare»

«Beh dai, che ti devo dire. Goditele. Te le regalo»

«Ma sai che preferisco le corde»

«Ah si?» (ma che cazz…) 

«Comunque è un peccato che non ci sia qualcuno qui a cui poterle dare. Sono costretto a buttartele»

Ecco. Se fossi un figlio normale la storia sarebbe finita qui. Sì, perché in realtà qualcuno al di là dei controlli c’è: mamma e papà. Stanno ancora sorridendo a metà tra il commosso e l’emozionato nel vedere il proprio pargolo partire per l’ennesima volta. Chi mai si sognerebbe di dire al responsabile della sicurezza di portare alla propria mamma le manette con cui solitamente incapretta la fidanzata alla tastiera del letto? Chi, se non io?

Così, tra le risate di quelle cinquanta persone che si erano ormai immobilizzate per guardare il tutto, la gentile guardia dell’aeroporto si è incamminata al di là delle barriere per consegnare alla mia santa mamma il prezioso cimelio. Non dimenticherò mai la sua faccia. 

Mamma e Papà, ricordatevi che vi voglio bene e l’ho fatto solo per non farvi piangere nel viaggio di ritorno. 

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