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Cara metro (o caro metrò, scegli tu),

sento il bisogno irrefrenabile di scriverti questa lettera e spero tanto che tu avrai voglia di leggerla. Magari stanotte, durante quelle poche ore di riposo che una grande città può concedersi prima di rimettersi freneticamente in moto.

Mi hanno anche detto che ce l’hai con me e quindi un po’ te lo devo. Lo so, non ti piace l’accostamento al termine spostapoveri che spesso facciamo. Perché a ogni fermata tu porti invece ricchezza (ergo fatturato). Lo sa bene chi cerca una casa nei paraggi per godere della comodità di esserti vicino.

Però, sai, noi che abbiamo la pretesa di fare i giullari 2.0 sappiamo che con te possiamo permetterci di scherzare. Perché, anche se fingi di offenderti, in fondo ai tunnel sorridi sempre. Senza giudicare, come fai con tutte le migliaia di storie che ogni giorno trasporti.

Sopporti quindi anche le nostre freddure. Anzi, la tua rete, come grosse arterie che pompano il sangue dal cuore verso la periferia, farà arrivare il nostro messaggio leggero nei vari quartieri di Milano, e anche oltre (il limite della tariffa urbana). Sempre che non ci sia sciopero, questo è chiaro.

A proposito, chissà quanti stanno leggendo in CC queste righe a bordo di una delle tue carrozze? Persone che vanno al lavoro, studenti, turisti…. Forse pure quella sciura che lo smartphone l’ha ricevuto per Natale e ora ha già imparato a smanettarci come un’influencer tra i buongiornissimo di WhatsApp e il Burraco online con le amiche.

Rossa, verde, gialla, lilla e poi blu. Manca poco per completare i colori dell’arcobaleno. Già, perché tu sei un punto di riferimento. Ci sarà un motivo se quando dobbiamo andare in un posto, qualsiasi posto, ci informiamo della fermata della metro più vicina. Anche solo per localizzarlo nella nostra mappa mentale.

Sei una delle poche certezze per chi vive a Milano. Personalmente, so di poter contare sempre su di te. Quando esco senza dover sclerare due ore per un parcheggio. A fine serata, quando la buona compagnia si è portata dietro un bicchiere di troppo.  Zero sbatti. Tu mi porterai sempre a casa in sicurezza.

C’è chi dice che dopo una certa ora c’è solo e soltanto da aver paura di te. Forse questi non ti conoscono veramente. Bisogna stare attenti, è ovvio. Come in ogni grande città di questo mondo, d’altronde.

Ti ritrovo la mattina mentre vado al lavoro e voglio terminare quel romanzo che mi sta appassionando. Come potrei leggere se fossi invece imbottigliato nel traffico? Se poi riesco a occupare un posto a sedere la giornata comincia con un sorriso. Che sarà ricambiato da quello del nonnetto con il bastone al quale cederò la seduta quando salirà con passo incerto alla prossima fermata.

È vero che sei un ricettacolo di umanità diffusa. Uno spaccato della società in formato .zip. Con l’esperienza ho però imparato diversi sgami per uscire dal mood sardina in salamoia di ascelle pezzate.

Dribblare gli ostacoli che frapponi tra me e l’arrivo in orario in office è uno sport che anni fa mi logorava, ma che ora, se praticato occasionalmente, quasi mi diverte. Anche se ogni volta che il treno è fermo in banchina da più di cinque minuti inizio a smadonnare per il ritardo, dentro di me prego che il motivo sia la rete elettrica e non una causa non dipendente da ATM. Quanti brutti epiloghi devi aver visto senza poterli evitare all’ultimo secondo.

Lo sai, l’aria là sopra è sempre più irrespirabile. Anche se non ce ne accorgiamo perché le polveri sono subdole, così sottili da entrare nei nostri polmoni senza chiedere il permesso. Tu invece sei green anche quando le carrozze sono di un altro colore.

Ora però basta parlare di cose tristi. Sei lo stupore di un bambino a bocca aperta sulla prima carrozza della lilla mentre viene accompagnato a vedere la prima partita a San Siro. La prima parte del viaggio quando, andando verso Centrale, tutto deve ancora succedere. Sei anche l’ultimo tratto del ritorno quando non vedo l’ora di tornare a casa. Il ripasso matto e disperatissimo dello studente universitario il giorno dell’esame. Sei la speranza prima di un colloquio di lavoro L’emozione d’amore di chi, arrivando da parti opposte, si è dato il primo appuntamento in Duomo. Sei un aperitivo sui Navigli, una birra a Lambrate o una pizza in Porta Romana.

Sei anche un talent show. Più la Corrida che X-Factor, a dire il vero. Molti si esibiscono sul tuo palco cercando fortuna. Che poi significa qualche monetina in un bicchiere di cartone del Mac consumato. Sono artisti di (sotto al piano) strada. Alcuni sono molto bravi e meriterebbero di più. Altri sono dei dilettanti allo sbaraglio. Lì va un po’ a simpatia.

A volte sei pure un’incazzatura. Di quelle belle pesanti. Non ce l’ho con te, ma con quelli che abusano della tua infinita pazienza. Saltatori di tornello, scippatori, imbrattatori di carrozze, gente che dimentica il Leggo sul sedile (che poi casca per terra e diventa Lercio). Ecco, a volte penso che dovresti prendertela un po’ di più. Fargliela pagare, magari includendo pure il biglietto a prezzo rincarato e la multa, che dici?

Vabbè lo so, pure di fronte alle cose che non vanno come sempre tu rispondi con il sorriso, e se fossi qui citeresti De André: «Anche se non sono gigli sono pur sempre figli…». Ripartendo con il tuo carico di destini casualmente entrati in contatto fra loro in direzione della prossima fermata. Come se nulla fosse successo. Sperando in qualcosa di migliore.

In questo mi assomigli, sei un’inguaribile romantica ed è per questo che io…

TI AMO

 

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