Che le mie fossero braccia rubate all’agricoltura già lo dicevano in molti. In verità vi dico che ho sempre coltivato l’idea di verificare se questi simpaticoni avessero effettivamente ragione. Con tutto il rispetto per l’agricoltura, sia ben chiaro.
Per questo, un paio di anni fa – tra lo scetticismo anche degli affetti più cari – ho partecipato a un bando per l’assegnazione di un orto urbano. Molti di voi si staranno chiedendo, ma Cusa l’è un orto urbano?
In pratica, pagando un modico canone d’affitto, puoi coltivare a tuo piacimento un piccolo appezzamento di terreno e cercare di ricavarne verdura biologica a Km 0. A due passi dai palazzi.
Se pensate sia una cosa da radical chic e che la verdura cresca direttamente al reparto ortofrutta dell’Esselunga, vi state sbagliando di grosso. Coltivare l’orto fa bene al corpo e alla mente, ma soprattutto è un’attività cazzutissima. All’ennesima potenza.
Quando è arrivata la lettera di accettazione della domanda quasi non ci credevo. In casa e tra gli amici percepivo parecchia ironia. Anche l’impiegato del Municipio consegnandomi le chiavi dell’orto, sogghignando, ha stampato una copia del modulo di disdetta (così non perdi tempo quando lo vorrai lasciare!).
Tutta questa diffidenza però mi ha caricato a mille. Ho iniziato a passare le serate in una ricerca matta e disperatissima. Dai tutorial diYou Tube su come arare il terreno e seminare le carote sino all’iscrizione a ogni tipo di gruppo Facebook che parlasse, anche solo vagamente, di vegetazione. Insomma, ho scoperto un mondo di influencer della patata.
La realtà però era ben diversa. Il mio orto era una giungla. Incolto da anni. Con erbacce e arbusti alti due metri. Ciarpame vario sparso, tra cui anche un paio di vecchi scarponi del precedente assegnatario nascosti tra la vegetazione.
Dopo aver speso un patrimonio in attrezzi (penso di essermi meritato di diventare socio onorario di Leroy Merlin) ho iniziato il disboscamento tra gli sguardi incuriositi e i consigli dei miei tanti vicini di appezzamento. In totale una settantina, dove settanta penso sia anche l’età media.
Ormai invasato ho anche preso un giorno di ferie per vangare e concimare il tutto. Penso che qualsiasi allenamento in palestra non sia così duro come arare un terreno incolto.
Non avendo la più pallida idea della stagionalità delle verdure (al super le zucchine si trovano anche a novembre, no?) ho iniziato a sbirciare gli orti dei miei vicini più senior ed è scattata la girandola di semine e trapianti.
Da lì è cominciata la vera e propria follia. Ogni giorno a fare un check di precipitazioni, fasi lunari, orari dell’alba e del tramonto. Controllo degli insetti e delle erbacce. Continuo benchmarking con i pensionati, titolari di un sapere antico e stupiti del mio modo digitale di affrontare le questioni green.
Penso di aver quasi pianto al primo ceppo di insalata portato a casa e gustato come se fosse l’alimento più pregiato del mondo. Dentro di me lo era e lo sono stati tutti quelli che sono seguiti. Pomodori, zucchine, melanzane, peperoni, cetrioli, angurie, meloni, verze e tanto altro. Sarà un’impressione, ma il gusto di questi ortaggi autoprodotti è spettacolare!
Inutile dire che l’orto urbano è una scuola di vita. Anche quando ti zanzano un broccolo perché lo hai piantato troppo vicino alla recinzione e speri che al furbastro venga lo squaraus. Oppure quando agli altri cresce una cosa e a te no e inizi a studiare per recuperare terreno. Quando durante un meeting aziendale rifletti su come ruotare lo scalogno con i porri o al fatto che la sera dovrai levare gli afidi dalle fave. Quando stai sveglio sino all’una di notte a sgranare piselli per surgelarli per l’inverno (e quando poi d’inverno li mangi di gusto).
Ora che sto per trapiantare i pomodori, e mi avvio al terzo anno di orto urbano, non posso che consigliarvi questa attività. Basta aperitivi, serie tv, Netflix e menate varie. ANDIAMO TUTTI A ZAPPARE!
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