Oh, ci becchiamo all’Arco della Pace! Quante volte ci siamo dati appuntamento nell’ampia piazza d’armi dalla quale parte Corso Sempione.
Proprio quando siamo lì, seduti su quei gradoni, l’arco con il parco e il Castello Sforzesco sullo sfondo ci regalano uno degli scorci più suggestivi di Milano.
Le chiacchiere scorrono come le birrette e i drink raccattati in uno dei tanti locali in zona. D’altronde le migliori serate non hanno bisogno di molto di più.
Già, ma vi siete mai chiesti come mai l’Arco della Pace si chiama proprio così e qual è la sua storia? È giunta l’ora di dare finalmente una risposta a questi interrogativi.
Sappiate, prima di tutto, che la storia dell’Arco della Pace è ovviamente legata alle svariate dominazioni che si sono succedute a Milano nel corso del tempo.
In principio fu Napoleone che volle un arco per celebrare il trionfo nella battaglia di Jena. Poi il Bonaparte e la sua Grande Armée ebbero qualche piccolo intoppo e Milano passò sotto il dominio austriaco.
L’arco fu quindi dedicato alla pace tra le nazioni europee raggiunta nel 1815 con il congresso di Vienna.
Il passaggio da Arco della Vittoria ad Arco della Pace sembrerebbe bellissimo come concetto. In realtà, gli architetti che hanno progettato l’opera (prima Luigi Cagnola e poi Carlo Giuseppe Londonio) dovettero un po’ adattarsi ai mutati indirizzi politici.
Avete presente la grande scultura in bronzo sulla sommità dell’arco composta da sei cavalli che trainano un carro? Bene, la cosiddetta Sestiga della Pace fu fatta ruotare di 180 gradi, in modo che il fondoschiena dei cavalli fosse orientato verso la Francia. Per farsi beffa dei francesi. Forse già allora non avevano il bidet!?
L’inaugurazione avvenne il 10 settembre 1838 con una cerimonia presieduta da Ferdinando I, Imperatore d’Austria e Re del Lombardo-veneto.
Poco più di vent’anni dopo, a seguito della battaglia di Magenta, fecero il loro ingresso trionfale in Milano Napoleone III e Vittorio Emanuele II. La città passò quindi dalla dominazione asburgica a quella piemontese.
Per questo motivo lassù potete leggere: «Entrando coll’armi gloriose / Napoleone III e Vittorio Emanuele II liberatori / Milano esultante cancellò da questi marmi / le impronte servili / e vi scrisse l’indipendenza d’Italia / MDCCCLIX»
Insomma, va bene la pace, ma poi la storia la scrivono sempre i vincitori.
Un’ultima curiosità? Nella sua autobiografia Festa Mobile, Ernest Hemingway riporta la convinzione – pare errata – che l’Arco delle Pace di Milano sia allineato con l’Arco di Trionfo del Carrousel e con l’Arco di trionfo dell’Etoile di Parigi.
Ormai lo sapete che siamo degli inguaribili romantici travestiti da Imbruttiti. Ci immaginiamo Hemingway nel suo periodo milanese, giovane volontario della Croce Rossa, broccolare un’infermiera sotto l’Arco raccontando questa storia.
Poco importa se si tratta solo di una leggenda frutto di fantasia letteraria. Perché non rigiocarci la carta dell’allineamento tra i monumenti al prossimo spritzino in Sempione?
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