Una volta si portavano le foto di Angelina Jolie, Charlize Theron, Julia Roberts. Oggi, dal chirurgo plastico, si va direttamente con i selfie scattati con il cellulare e magari rifiniti grazie ai filtri messi a disposizione dai social network. Secondo la Società Italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica (SICPRE), gli interventi in stile selfie sono cresciuti del 15 per cento negli ultimi due anni. Di questi, il 40% viene effettuato su ragazze fra i 18 e i 29 anni. Ragazze che si fanno evidentemente condizionare dai filtri social che gonfiano le labbra, rimpiccioliscono il naso e conformano l’ovale del viso a quello di milioni di altre reginette del web. Kim Kardashian, Kendall Jenner e tante altre it-girl, anche di casa nostra. Una vera e propria tendenza chiamata selfie dismorfia, che porta a richiedere operazioni chirurgiche sulla base della propria immagine modificata con i filtri offerti dalle app.
Il motivo principale dietro a questi ritocchini è profondissimo: la maggior parte delle persone che vanno dal chirurgo vuole rifarsi per potersi scattare selfie perfetti. Per questo motivo gli interventi più richiesti sono quelli al naso (più sottile, più alla francese) e alle palpebre (più lisce, più tirate). Vanno alla grande anche le iniezioni di filler e botulino alle labbra (vuoi mettere la bocca a culo di gallina con i labbroni, che meraviglia?) ma anche al viso, per pompare un po’ gli zigomi o correggere i connotati.
È da tempo che questa moda ha attirato l’attenzione del mondo medico: il Boston Medical Center, ad esempio, sta analizzando il fenomeno per riflettere su questi nuovi canoni di bellezza, che molto spesso portano a richieste irrealizzabili. I social come Instagram e Snapchat, o app come Photoshop, infatti, possono fare molti danni a persone con tendenze ossessivo-compulsive, grandi insicurezze o ansie pronunciate. “Gli adolescenti sanno che questi filtri non riflettono i cambiamenti di cui hanno bisogno? Capiscono che questi filtri non li devono far vergognare del loro aspetto attuale? Abbiamo bisogno di ulteriori ricerche per rispondere a queste domande”, ha dichiarato Kamleshun Ramphul, autore dell’articolo “Snapchat Dysmorphia è un vero problema?”.
Articolo scritto da Wendy Migliaccio
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