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In tutto sto macello causato dal Coronavirus (e pure da parecchia ignoranza) spiccano anche delle iniziative decisamente apprezzabili. È emerso un grande senso di responsabilità da parte di alcune delle realtà più colpite, a livello economico, da questa emergenza: ristoranti e bar. Subito dopo il DPCM dell’8 marzo 2020 è nato il Comitato Ristoratori Responsabili, di cui fanno parte oltre 100 attività milanesi e dei dintorni. Per fare qualche nome: Ratanà, Taglio, Deus Cafè, Chinesebox, Dabass, ElitaBar, The Botanical Club e molti altri. Questo neonato Comitato ha deciso di scrivere una lettera aperta destinata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Sindaco di Milano Giuseppe Sala. Una lettera pregna di senso civico e spirito di sacrificio, che chiede (malgrado gli interessi in gioco) di chiudere completamente gli esercizi. Bar e ristoranti che, ad oggi, possono invece restare aperti dalle 6 alle 18, con l’obbligo di garantire, però, la distanza di un metro tra i clienti.

I proprietari di bar e ristoranti chiedono, in sostanza, di chiudere tutti i locali proprio per l’impossibilità di mettere in atto in maniera efficace le disposizioni per evitare il contagio. Difficile, per clienti e dipendenti, essere certi di non rischiare nulla, ad esempio, appoggiandosi al bancone, chiacchierando tra un caffé e l’altro o magari usufruendo del bagno. “Per la natura del servizio offerto da esercizi di somministrazione la richiesta di mantenere il metro di distanza interpersonale è praticamente impossibile da far rispettare – si legge nella lettera – La promiscuità è ineliminabile tra personale di servizio e cliente e tra i clienti stessi anche nel caso si dispongano di tavoli delle misure adeguate”.

Inoltre, visto che alla popolazione è stato chiesto di restare in casa, questi esercizi commerciali traggono decisamente poco vantaggio dalle ore di apertura di cui possono godere. “Mantenere gli esercizi aperti e raccomandare alla popolazione di non muoversi da casa propria equivale a condannare tali esercizi al fallimento”. Non essendo nemmeno prevista la possibilità di effettuare consegne a domicilio dopo le ore 18, “nel miglior scenario possibile, l’inevitabile crollo degli incassi porterebbe alla chiusura e al licenziamento di molti addetti”.

Insomma, le osservazioni del Comitato non fanno una piega: “Ci chiediamo pertanto se abbia senso chiudere tutto tranne i ristoranti e i bar. Se il fine ultimo è quello di evitare la socialità tout court, per quale motivo si vuole lasciare la possibilità di contatto e contagio in luoghi dove è intrinsecamente più difficile regolamentarla? Paradossalmente musei e cinema che devono rimanere chiusi hanno più possibilità di far rispettare le distanze regolamentando gli accessi. Meglio un periodo di contenimento più severo ma più limitato nel tempo”.

E allora sì, meglio chiudere tutto e sperare che questo aiuti ulteriormente la sconfitta del virus. Nella lettera il Comitato chiede però alcune misure di aiuto, come ad esempio cassaintegrazione in deroga per i prossimi tre mesi per i dipendenti del settore, istituzione di un fondo di emergenza per le imprese in difficoltà, sospensione degli oneri tributari e delle bollette. Speriamo che questa lettera venga accolta e che il senso civico dei Ristoratori Responsabili venga apprezzato da chi di dovere. Milano sì, si può fermare. Ma solo per poter ripartire alla grande.

Articolo scritto da Wendy Migliaccio

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