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“Non avere più niente da attendere significa non sperare”: è l’effetto limbo della pandemia

In un lungo articolo pubblicato sull'HuffingtonPost si è cercato di fare luce sul senso di apatia che impera in questi mesi di vuoto cosmico causati dalla pandemia

Che si fa stasera? Bo, niente. Magari la solita serie su Netflix. E sabato? Mah… ordiniamo cibo cinese? E il compleanno come lo festeggiamo? Mmm… non ci si può spostare, faremo una video chiamata con gli amici e ciao. E quest’estate, che si fa? E che ne so… Dite la verità, vi siete ritrovati in queste conversazioni? Già, tutto tristemente vero, tutto amaramente quotidiano. Da oltre un anno (che è davvero un sacco di tempo), il Covid ci ha rubato la voglia di organizzare, di progettare, di guardare al futuro con eccitazione, con entusiasmo.

Non ci sono più viaggi, aperitivi, serate a ballare, giornate con i bimbi al parco divertimenti, cenette al ristorante. Non c’è più l’hype di immaginare una vacanza, di tirarsi a lucido per un’uscita, di fissare un primo appuntamento. Ogni giorno è molto simile a quello precedente, non abbiamo più niente da attendere. Oh, non è che vogliamo farvi salire la saudade, però ci sembra interessante riflettere su quello che stiamo perdendo, oltre all’elenco già infinito di perdite causate dalla pandemia.

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“Non avere più niente da attendere significa anche non sperare”, ha detto la dottoressa Maura Manca, psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza ad Huffpost, che ha proposto un approfondimento interessante su questo effetto limbo. “La speranza ci porta ad agire, è quel movimento interiore che spinge ad andare avanti, per andare incontro a situazioni che speriamo possano verificarsi: io spero che l’esame vada bene, di trovare un lavoro, di trovare un fidanzato. Faccio allora qualcosa per ottenerlo. I giovani vivono adesso un effetto limbo. L’incertezza blocca la progettazione”.

Che poi la cosa peggiore è che per un attimo ci abbiamo pure creduto. La scorsa estate in molti sentivamo che il peggio ce lo eravamo lasciati alle spalle, si partiva, si andava a cena, al mare. Certo, l’occhio vigile restava, l’attenzione alla sicurezza, però con uno sbatti sicuramente inferiore rispetto ai primi mesi di quarantena. E oggi? Oggi invece tutto è tornato come un anno fa e davvero in fondo al tunnel non si vede mezza lucina sfigata. Invece di aspettare il giorno della gita fuori porta o della serata con gli amici, si aspetta il risultato del tampone. Bella merda. E quindi vai di apatia, di abbrutimento. “A mancare non è l’aperitivo, ma il senso dell’aperitivo”, ha spiegato la dottoressa Manca. “L’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, diceva Gotthold Ephraim Lessing. E non avendo piaceri da attendere, sfuma via anche il godimento.

Insomma, non vogliamo stare qui a piangerci addosso, per carità. Tanta gente, e tanti giovani, hanno trovato nella crisi la forza di rialzarsi, di inventare, di adattarsi e di cambiare. Chapeau. Ma non siamo supereroi, e sentirsi schiacciati da questa situazione assurda è più che comprensibile. “Bisogna smettere di attendere che le cose tornino come prima”, è il consiglio che la dottoressa Manca dà ai giovani. “Altrimenti andiamo in blackout emotivo, che provoca immobilismo psichico. E l’immobilismo psichico provoca patologie gravi. Si cronicizzano stati che si stanno vivendo ora: l’ansia, la preoccupazione possono portarci a vivere in una condizione di allarme che può diventare disturbo d’ansia e dell’adattamento. Bisogna intervenire oggi, prima che sia troppo tardi. Non fare sta diventando la normalità. A lungo andare è un processo che spegne”.

Insomma, a oggi la situazione è questa. Fa schifo, ce ne rendiamo conto. E prima o poi ne usciremo, questo è certo. Ma mettere in pausa la vita in attesa di quel giorno non è la soluzione. Il presente è adesso, che ne vogliamo fare?

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