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Situazione: il vostro lavoro sulla carta vi piace pure, ma l'intolleranza verso il vostro capo ha raggiunto un limite tale che siete lì lì per dare le dimissioni. O magari avete già mollato. A quanti di voi è capitato? Del resto succede spesso di lasciare un impiego per problemi insuperabili con il boss. Il capo, con i suoi scazzi, le sue manie e la sua incapacità di rapportarsi ai dipendenti, spesso è il movente principale delle dimissioni. Cosa che, in molti casi, per lo stesso chief, rappresenta un clamoroso autogol. Ma quali sono gli errori principali dei boss che ci fanno venire voglia di licenziarci seduta stante?

Interessante l'approfondimento di GQ, che ha chiesto lumi a Luca Maselli, psicologo e operations manager di TherapyChat, piattaforma di psicologia online che propone consulenze a prezzo calmierato. "Il motivo per cui la figura del capo è così importante per il nostro benessere in ufficio - ha spiegato il Maselli - è che con lui si instaura un rapporto umano che è giocoforza centrale per lo svolgimento del nostro lavoro: tutto passa dalla sua scrivania. Un capo empatico, che mostra di ascoltare attivamente i suoi dipendenti, e che quindi sa anche comunicare correttamente andando oltre la vecchia dinamica io comando, tu esegui, è la base per un ambiente di lavoro sereno in cui si vive volentieri". Tutto chiaro. "Al contrario, un capo che con ascolta, sempre di fretta come il coniglio bianco di Alice ossessionato dal tempo, che non presta mai l'attenzione dovuta, è un capo che ci fa vivere male nel posto in cui trascorriamo la gran parte della nostra giornata". Maselli ha così indicato sei comportamenti scorretti che i capi possono commettere e che ci fanno vivere male il nostro lavoro. Talmente tanto da farci valutare (e magari chiedere) le dimissioni.

"Io non sbaglio mai"

Le cazzate capitano a tutti, anche ai capi. Ammettere di aver sbagliato e fare autocritica sono segni di umiltà e di intelligenza. E invece..."Ci sono manager che arrivati a un certo livello vivono nella convinzione di non dover imparare più nulla", ha spiegato Maselli, e a molti di noi già viene in mente qualche nome, vero o no? "Questo è un atteggiamento sbagliato, anzitutto nei confronti di se stessi perché nel lavoro come nella vita non si smette mai di imparare, ma anche nei confronti di un dipendente: vuol dire non essere aperti a ciò che può trasmetterci, non essere disposti ad ascoltare il suo parere, non prendere in considerazione che il suo punto di vista possa essere rilevante nella gestione del compito che si deve realizzare. Alla lunga questo atteggiamento può farci venire voglia di guardarci intorno". 

"Nessuno è bravo come me"

Che senso ha assumere qualcuno se poi non ti fidi di lui? Cioè, allora apriti un'aziendina familiare e ciao. Molti boss sono talmente convinti di saper fare tutto loro da non riuscire a delegare, e a fidarsi di qualcun altro. Sbagliato per lui, per l'azienda e - naturalmente - per il dipendente. "Saper delegare è una dote, che i manager talvolta non dimostrano perché può significare anche assumersi il rischio di dover rispondere di un errore di un dipendente, e non tutti sono disposti a farlo". Questo succede per "Insicurezza, talvolta anche dovuta al fatto che non sempre il manager si ritrova di fronte al dipendente di cui avrebbe bisogno e la ragione di questo va cercata a monte: più sono efficaci e mirati i processi di selezione e formazione, più questo dà certezza all’azienda e quindi al capo. Sta di fatto che non veder riconosciuto il proprio impegno rischia di farci perdere l'autostima, e questo può creare circoli viziosi che alla lunga non fanno bene a nessuno, in primis a noi stessi". Ma noi possiamo fare qualcosa, prima di scoglionarci e mollare tutto. Lo spiega il Maselli: "La fiducia si acquista in grammi e si perde in chili. Se il capo non ce la dà, prima di mollare mostriamo cosa sappiamo fare, cominciando dai piccoli compiti".

"Vade retro cambiamento"

Che erroraccio. Cambiare in base ai tempi e al mutare delle esigenze è il primo dovere di un capo, qualunque sia la sua azienda. Rimanere bloccati senza possibilità di upgrade non solo fa male a tutta la realtà commerciale, ma spegne l'entusiasmo dei dipendenti. "Un po' è fisiologico, dato che il cervello per l'80% agisce in modo automatizzato e va in stress rispetto alle novità, ma è altrettanto vero che la bravura di un capo sta anche nel filtrare certe preoccupazioni, e nel saper valorizzare le competenze di ogni membro del suo team per i compiti da svolgere". Il consiglio: "Al momento trasmettere fiducia, facendo in modo che il capo si senta protetto, ma forse alla lunga vale anche la pena chiedersi se si è sempre disposti a farlo".

"Ah, stavi dormendo?"

Ok, su questa ci siamo passati praticamente tutti almeno una volta. Avere un capo che ignora completamente gli orari di lavoro e si prende la libertà di rompere i maroni h24. E guai a staccare puntualmente a fine turno! Si rischia di passare addirittura per dei perditempo. Con lo smart working poi queste dinamiche si sono clamorosamente accentuate. "Si è ancora legati all'idea che la produttività di un dipendente sia legata alle ore trascorse al lavoro più che agli obiettivi che deve raggiungere - ha confermato Luca Maselli - ma è altrettanto vero che se un capo ci manda di continuo mail fuori orario, o chiede di svolgere compiti quando non dovremmo, è anche perché noi rispondiamo e ci rendiamo disponibili. Insomma, è il dipendente a dover stabilire dei limiti".  

"Hai solo fatto il tuo lavoro"

Succede che sei convinto di aver fatto un buon lavoro, magari ottieni complimenti dai colleghi e aspetti solo che il capo ti dica: "Uè tu, ben fatto!". Quando questo però non succede può essere davvero molto frustrante. Avvilente. "Capita spesso di assistere al comportamento di capi sempre disposti a sottolineare gli errori e mai i traguardi, e invece è fondamentale fare entrambe le cose perché anche questo vuol dire crescere, e il lavoro deve essere una crescita continua perché è un sistema aperto, non chiuso". 

"Lui sì, no tu no"

Questa poi è davvero pessima. Palesare simpatie per alcuni e indifferenza per altri è davvero una bastardata. "È un aspetto di cui i dipendenti delle aziende soffrono molto spesso. Il mio consiglio è non demoralizzarsi, andare sempre dritti per la propria strada, ma anche evitare giudizi affrettati. Insomma: state a guardare. Se la persona favorita non funziona, il manager dovrà metterci la faccia". E noi saremmo lì pronti a godere.

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