Se sentite l'irresistibile impulso a mollare il vostro lavoro, sappiate che siete in buonissima compagnia. Il fenomeno delle Grandi Dimissioni, decifrato negli Stati Uniti, ha preso infatti ufficialmente piede anche qui in Italia. Soprattutto in Lombardia. Soprattutto a Milano, dove si fattura a manetta. Abbiamo vissuto (stiamo vivendo) una roba davvero grossa raga, la pandemia. Era inevitabile che le nostre priorità cambiassero, che i mesi trascorsi in casa, in smart working, tra le gioie e le difficoltà di vivere h24 con i nostri affetti, ci cambiassero. Che ribaltassero il nostro point of view. Ecco perché in tanti, soprattutto tra i giovani, stanno decidendo di mollare il lavoro in cerca di opportunità più soddisfacenti.
Ne ha parlato anche Corriere, in un interessante approfondimento. I numeri raccontano una storia vera: in Lombardia nel 2021 si è dimesso quasi il 10% dei lavoratori. Ocio però, non è che lasciano il lavoro per darsi al cazzeggio, o per vivere di aria. C'è fermento, c'è fame, c'è ambizione, c'è desiderio di felicità, tutto spinto evidentemente dal buco nero in cui il Covid ci ha fatto precipitare. La voglia di rinascita si manifesta anche nel desiderio di una maggiore soddisfazione professionale, di una migliore qualità della vita. Perché sgobbare every day se questo ci rende infelici? Ecco allora spiegato lo sprint nella ricerca di motivazioni e condizioni migliori. A Milano questi numeri si leggono all'ennesima potenza: nel 2021 si sono dimessi 419.754 lavoratori, il 9,5% dei 4,4 milioni di occupati.
Ma facciamolo un identikit di questi lavoratori italiani decisi a cambiare la propria vita. Sono soprattutto uomini, l'età media è bassa (quasi uno su due ha meno di 35 anni), 109mila di questi vengono da contratti di lavoro più lunghi di un anno. La maggior parte si occupava di attività gestionali, oltre 14mila lavoravano nella ristorazione, 11mila nelle vendite, oltre 10mila nella logistica, altrettanti in attività dirigenziali e bancarie. Il 2021 è stato l'anno più intenso per quanto riguarda le dimissioni: 179.200 contro le 127.294 del 2020. Torniamo sull'eta, concentrandoci sui lombardi: dei 420mila dimissionari della regione, 181.930 hanno meno di 35 anni, 178.488 hanno tra i 35 e i 54 anni e 253mila vengono da rapporti di lavoro più lunghi di un anno. In Lombardia a lasciare sono stati soprattutto i lavoratori della ristorazione (39.377) e la news non ci stupisce mica: ve le ricordate, no, le proteste di Borghese e Co. per la mancanza di personale motivato? Ecco.
Tornando a chi si è licenziato, in molti si occupavano di vendite, seguiti (stando ai numeri) da chi lavorava nella logistica e nelle pulizie. Anche in Lombardia ci sono stati più licenziamenti nel 2021 rispetto al 2020, addirittura il 30% in più. Per gli esperti questo fenomeno non è da intendersi come negativo, anzi. "Si tratta di un segnale positivo, non di abbandono del lavoro ma di spostamento verso uno nuovo. Significa che c’è mobilità e opportunità nel mercato", ha detto al Corriere Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi e presidente di Afol Metropolitana. Questa dinamica è legata alla "possibilità di scegliersi il posto di lavoro piuttosto che di essere scelti, di far valere le proprie professionalità: questo movimento volontario dei lavoratori può quindi contribuire in parte a un maggiore allineamento tra il patrimonio professionale della persona e l’occupazione, tra domanda e offerta".
Chi si dimette lo fa perché spinto da motivazioni nuove, in cerca di condizioni migliori. Le aziende non possono non tenerne conto. "Oggi chi offre lavoro qualificato sempre più spesso deve offrire un’opportunità di smart working, la possibilità di auto-organizzare tempi e luoghi di lavoro", ha spiegato Del Conte. Già, perché le aziende che pensano di tornare alla vita pre Covid, non stanno capendo una mazza. "Perdono il treno dell’innovazione e del recupero di produttività. Si tratta di una reazione difensiva", è la conferma del prof. La verità è una: "Se i lavoratori si dimettono significa che non si trovano più bene secondo quelle direttrici che la pandemia ha semplicemente reso più evidenti: maggiore autonomia e maggiore equilibrio vita-lavoro" ha aggiunto Massimo Bonini, segretario generale Cgil Milano. Tocca ragionare anche sul cash a fine mese: "Se dopo tanti anni un lavoratore qualificato con anni di studio alle spalle si trova con lo stesso (basso) stipendio, c’è un problema. È chiaro che va a cercare condizioni migliori". Che ne dite Imbruttiti?
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