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Raga, siamo arrivati. Qualche giorno fa vi abbiamo raccontato che, causa pandemia e smart working, molti lavoratori stanno pensando di licenziarsi pur di evitare il ritorno in ufficio. Ci siamo talmente tanto abituati a lavorare da casa, a stare per i cazzi nostri, che tornare al tran tran pre Covid ci sembra una tortura insopportabile. Ebbene, la tendenza è stata confermata da un'ulteriore ricerca di Microsoft, riportata in un'approfondimento di The Vison. In pratica è venuto fuori che su 30mila lavoratori il 41% di questi sta considerando seriamente di dimettersi entro l'anno. Di mollare tutto e ciao. Adios.

La situazione peggiore è tra i giovanissimi, la cosiddetta Generazione Z, quella tra i 18 e i 25 anni: tra di loro la percentuale di chi vorrebbe mollare arriva addirittura al 54%. E questo nonostante la crisi economica che la pandemia ha scatenato, segno che stiamo assistendo a un ribaltone delle priorità. Felicità first. Addirittura negli Stati Uniti questo fenomeno è stato chiamato Big Quit o Great Resignation (grande dimissione), a indicare proprio la massa intenta a licenziarsi per insofferenza nei confronti del proprio lavoro. Che roba.

"L'opportunità ora è di costruire su ciò che abbiamo imparato negli ultimi 12 mesi per creare un luogo di lavoro in cui tutti possano prosperare", si legge nel doc pubblicato da Microsoft. "Con oltre il 40% della forza lavoro globale che sta pensando di lasciare il proprio datore di lavoro quest'anno, un approccio ponderato al lavoro ibrido è fondamentale per leader che cercano di attrarre e trattenere talenti diversi". La ricerca ha inoltre evidenziato come il 73% dei lavoratori desideri continuare con un lavoro flessibile, ma si rileva anche un 67% desideroso di trascorrere più tempo live con la squadra di lavoro. I dati sono chiari: estrema flessibilità e lavoro ibrido definiranno il posto di lavoro post-pandemia.

I dipendenti vogliono il controllo di dove, quando e come lavorare e si aspettano che le aziende forniscano loro delle opzioni. "Le aspettative dei dipendenti stanno cambiando e dovremo definire la produttività in modo molto più ampio, inclusi collaborazione, apprendimento e benessere per guidare l'avanzamento di carriera di ogni lavoratore, compresi i lavoratori in prima linea e i knowledge worker, nonché per i neolaureati e coloro che sono nel forza lavoro oggi. Tutto questo deve essere fatto con flessibilità riguardo a quando, dove e come le persone lavorano", ha dichiarato Satya Nadella, CEO di Microsof.

In un articolo uscito sull’Harvard Business Review, il consulente aziendale per le risorse umane Ian Cook ha evidenziato come le dimissioni siano più frequenti nei settori che hanno aumentato di brutto la propria domanda durante la pandemia, portando a un'inevitabile burnout dei dipendenti. Un esempio: le dimissioni sono aumentate nel settore medico e in quello dell’high-tech rispettivamente del 3,6% e del 4,5%. Ok, ma quindi perché la gente vuole mollare il lavoro? I motivi sono diversi, come sottolineato da un'altra ricerca, questa volta condotta da Personio.

Il 23% dei lavoratori vuole mollare a causa del peggioramento della qualità della vita, specialmente nel rapporto tra quella privata e quella lavorativa. Il 21% considera tossico il proprio ambiente di lavoro, mentre il 22% non ce la fa più a causa del congelamento delle buste paga. Ci sta. Se da un lato, però, il mondo dei lavoratori sta manifestando una sempre più evidente insofferenza, i boss delle aziende continuano - ahinoi - a sottostimare il fenomeno. La ricerca, infatti, ha evidenziato che il 52% dei responsabili HR afferma come la produttività nella propria azienda sia aumentata, cosa confermata però solo dal 31% dei lavoratori. Insomma, un bel gap. Forse molte aziende ancora non lo sanno, ma presto avranno un serio problema da risolvere...

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