Ci sono delle storie, belle, che fanno sperare in un futuro migliore. Almeno un po' eh. In un periodo storico in cui si parla spesso e male della combo maternità e lavoro, c'è un'azienda che ha deciso di fare per conto suo, rovesciando pregiudizi e presunte difficoltà e dimostrando che hey, funziona! Già in tempi decisamente non sospetti, prima che la pandemia arrivasse a ribaltare le nostre priorità e i modelli di lavoro, l'azienda Wear me di Castelfranco Veneto stava già venti passi avanti, agevolando le proprie dipendenti nella ricerca di un'armonia fra vita privata e lavorativa. Prima di tutto, l'office più che un luogo in cui fatturare sembra una family; in secondo luogo si chiude baracca every day alle 16. Terzo, si può lavorare in smart working. Ma è la quarta skill di questa azienda a essere rivoluzionaria: le dipendenti possono portarsi in ufficio i figli in caso di necessità. Vabbè ciaone.
Tutto merito della visionaria business woman a capo dell'azienda, Virginia Scirè, 44 anni, come raccontato dall'approfondimento di Nordest Economia. L'azienda è sicuramente molto sensibile al tema nani, visto che si occupa di realizzare fasce per neonati e abbigliamento pre, durante e post gravidanza. L'azienda è piccina e a maggior ragione stupisce come riesca a viaggiare così bene con tutte queste scelte così poco amate dalle altre realtà commerciali. Scirè lavora insieme a due collaboratrici fidate, più altri cinque: quattro donne e just one man. Tutti lavorano in smart working, qualcuno dalla Puglia, qualcuno dalla Spagna. E le cose vanno alla grandissima, pure se non si vedono mai.
"Ho una laurea in Economia e durante gli studi ho sempre lavorato facendo un po’ di tutto, poi ho trovato lavoro in una società finanziaria dove sono rimasta fino a pochi mesi dopo esser diventata mamma", ha raccontato Virginia Scirè a Nordest Economia. "Nel 2008 è nato il mio primo figlio e appena tre mesi dopo l’azienda mi ha comunicato il trasferimento a Verona. Insostenibile per me: mio figlio aveva dei problemi di salute che richiedevano la mia presenza". Una storia di discriminazione che conosciamo già, e che molte donne hanno vissuto sulla loro pelle. Scirè è costretta a dimettersi, che altro poteva fare? "A inizio 2009 decido di aprire un piccolo negozio su Ebay investendo 500 euro e proponendo abbigliamento per bambini. Passano due settimane e ho venduto tutto. A quel punto mi butto e vado avanti per due anni e mezzo". Figa il fiuto del business.
L'anno dopo Scirè apre il suo primo e-commerce e assumo la prima dipendente, Tania, che è ancora oggi al suo fianco. Nel 2013 "arriva la mia seconda figlia e per continuare a gestire tutto, casa, bambino e ufficio, mi trovo a dover trovare il modo di tenere la piccola in braccio avendo però le mani libere. Provo la fascia e non la abbandono più. Quando si dice fare di necessità virtù, no? Scirè è un'imprenditrice, e capisce subito come collegare un suo bisogno a quello di tante altre mamme al business. "Nel 2015 apro quindi una community che parla di babywearing e in poco tempo ho raccolto migliaia di iscrizioni ed è lì che propongo le mie prime fasce. Mostro i disegni, raccolgo i preordini e poi me le faccio fabbricare da aziende italiane. Una formula che appare subito più sostenibile dell’ecommerce, tanto più che nel frattempo il mercato ha visto l’ingresso di big come H&M, non c’è più spazio per realtà piccole come la mia".
La donna decide quindi di chiudere l’ecommerce e di aprire la sua impresa per produrre non fasce, visto che ce ne sono già un botto, ma giacche per portare i bambini che si possano usare 4 stagioni, anche in gravidanza. Genialata. Piano piano, anno dopo anno, i ricavi iniziano a salire salire salire. I primi tre mesi del 2022 "abbiamo fatturato tanto quando i primi sei dell’anno scorso". Il merito, a detta di Scirè, è la qualità dei prodotti, fatti con tessuti naturali e pensati per essere utilizzati prima, durante e dopo la gravidanza. Un'ottima cosa per le mamme che spesso si ritrovano con capi e oggetti usati mezza volta. E mentre l'azienda si prepara ad assumere altre due donne, Scirè ci tiene a precisare che no, non c'è un problema di discriminazione maschile, come ha dichiarato qualche maligno.
"Assumere mamme per me, per noi, è un modo di creare valore, dando la possibilità a donne, mamme rimaste disoccupate durante il periodo Covid, di rimettersi in gioco. E poi la pratica del portare è ancora tipicamente femminile, anche se le cose stanno cambiando e non escludo in futuro di poter assumere anche uomini". Figa, una volta tanto che il girl power funziona davvero!
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