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"Giovani bamboccioni", disse nel 2015 il ministro Padoa-Schioppa parlando dei 20/30enni che ancora vivono in casa con i genitori. Il tempo è passato, i prezzi delle case sono aumentati, la precarietà non manca e decidere da che parte andare là fuori sembra sempre più un’impresa. Secondo l’Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche pubbliche (per i dummies, segue da vicino tutto ciò che riguarda l'orientamento professionale) il 57,3% di chi ha tra i 15 e i 28 anni non ha alcuna idea sul lavoro che vuole fare da grande (sempre perché in Italia si è giovani fino a 50 anni, tranne quando ti devono assumere o alzare lo stipendio). Ad alzare la media sono ovviamente i minorenni, ma la percentuale supera comunque il 50% tra i 18 e i 24 anni, fino al 41,2% per la fascia over 25: quelli che dovrebbero (secondo le vecchie zie) già essere laureati o con almeno qualche idea di come guadagnarsi da vivere. 

"Troppi ragazzi non raggiungono la consapevolezza di un'identità professionale e di un ruolo nella società in grado di coniugare le proprie aspirazioni con i propri talenti e con le dinamiche del mercato del lavoro", ha commentato il professor Sebastiano Fadda, presidente di Inapp: "Questo impone una rivisitazione dell’intero sistema dei servizi di orientamento, in sinergia col sistema dell’istruzione e della formazione professionale".

Se mettiamo da parte un momento la mentalità da boomer, però, tanta indecisione potrebbe non essere solo un segnale negativo. Ne è convinto Dheeresh Strohmenger, life coach italiano che lavora anche online dall’Olanda, Paese decisamente accogliente per i giovani. "Mai come in questo momento storico i ragazzi hanno tanta informazione per le mani (è il caso di dire così, visto che il 99% di quello che arriva alla loro attenzione passa dallo smartphone). Con internet e l'AI siamo nel pieno di un cambiamento globale, analogo per portata alla rivoluzione industriale. È chiaro allora che le categorie buone per i giovani degli Anni '50 e '60, quando la spinta era quella a costruire e ricostruire, non possano essere più calzanti per un’epoca così fluida come quella attuale".

Quindi, non decidere non è così terribile? "La risposta ha bisogno di un cambio di prospettiva. Siamo nel pieno di una rivoluzione creativa, in cui l'obiettivo è sperimentare, mentre quella fra gli anni '60 e '70 fu una rivoluzione fisica, in cui bisognava lottare. Oggi la decisione è forse uno degli ostacoli più grossi alla crescita perché limita le possibilità: andava bene 60 anni fa, in questo momento di cambiamento i giovani vogliono sperimentare. Se guardano troppo in là, si perdono ciò che sta succedendo adesso: per loro conta più misurarsi con l'idea, piuttosto che decidere esattamente dove andare". Anche perché - va detto - i cambiamenti tecnologici sono talmente repentini rispetto a un tempo che è anche difficile programmare.

Un passo oltre in questo ragionamento arriva da Fadda, quando dice che "i giovani avrebbero bisogno di essere accompagnati e sostenuti nella costruzione e nella realizzazione del loro progetto di vita, ma manca un sostegno educativo distribuito durante tutto l’arco della vita stessa". E ovviamente un life coach non può che concordare: "La scuola, l’università, la società stessa dovrebbero mettere le persone in grado di conoscere e provare, senza condurli solo a un'unica scelta”, afferma Strohmenger. “Le persone sono consapevoli delle infinite possibilità di oggi, per cui l’unica scelta sensata è quella di andare a toccare con mano ciò che incuriosisce e interessa. E trovare supporto a questa flessibilità".

A ben vedere, un senso c’è: invece di stressarci per un guadagno che non sempre arriva, meglio puntare sul progetto di vita, che almeno arricchisce l’anima. Certo, coi prezzi dei bilocali a Milano anche due euro in tasca non starebbero così male.

Autore: Daniela Faggion

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