Cara Imbruttita, caro Imbruttito, stai per leggere un "pezzo barbecue". Subito c'è la "ciccia" fornita dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro: una grigliata di mamme lavoratrici che, dopo la graticola del dubbio, hanno deciso di passare dalla padella dei salti mortali alla brace della disoccupazione volontaria. Poi, c'è la salsa chili di una vicenda personale, quella della giornalista (e nostra collaboratrice) Daniela Faggion. Una fra le tante eh. Né peggio, né meglio: allunga l'orecchio mentre due amiche parlano al bar e ne troverai a vagonate. Certo, la "ciccia" puoi mangiartela anche senza salsa. Ma con la salsa chili rende meglio e alla fine, per digerire il tutto, una grappa incendiaria. Per palati forti.
La ciccia
Nel 2022, in Italia, hanno lasciato il lavoro entro il terzo anno di vita del figlio 16722 uomini e 44.669 donne. Lo dice l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, che ha registrato un aumento delle dimissioni complessive del 17,1% rispetto al 2021. Per gli uomini (neo-padri) il motivo principale è il passaggio verso un'altra azienda (78,9%), mentre per il 63% delle donne (neo-madri), il motivo principale è la fatica nel tenere insieme lavoro e famiglia. E ovviamente prima deve venire la famiglia, perché non puoi mica raccontare che la moglie lavora e il marito si occupa dei figli, vero?! Infatti, non solo si dimettono le neo mamme che guadagnavano meno dei neo-papà anche prima di essere genitori, ma si dimettono anche più dirigenti donne rispetto agli uomini: 410 contro 326.
Non stupitevi, perché non c'è nulla da stupirsi. C'è forse da decidere di fare finalmente qualcosa, visto che di incazzarci pare che ci siamo dimenticate. Quando leggiamo questi dati aggregati, sobbalziamo forse, ma poi quasi per autodifesa andiamo subito a pensare che a noi e alle nostre amiche questo non potrebbe mai succedere. In realtà, probabilmente è già successo e succede tutti i giorni: perché il 92% di coloro che si dimettono fanno un lavoro da impiegata/o o da operaia/o, quindi è altamente probabile che qualche nostra conoscente faccia parte della triste brigata delle dimissionarie. In più, i dati INL non considerano tutte le "libere" professioniste che hanno appeso la "libera" professione al chiodo dopo i figli: in generale, un "parco mamme" che due idee nella vita dovrebbe averle avute, che non sono state costrette a un odioso matrimonio combinato o a figliare col primo che passava pur di uscire di casa. Eppure, si sono ritrovate peggio delle loro madri.
Salsa BBQ - la storia di Daniela
Io lascio il mio posto a tempo indeterminato nel 2017 ed ecco perché sono così tristemente all'avanguardia. Faccio il primo figlio a 39 anni (in zona Cesarini, direi) e torno al lavoro. Fattibile ma faticosissimo: nessun nonno o parente a distanza utile, la mia vita sociale sparita, le mie possibilità di "carriera" sepolte e il mio ideale di coppia collaborativa polverizzato... ma non sono mica l'unica e non vivo con un troglodita, anzi! Però prova ad ascoltare due mamme che parlano davanti a un caffè e sentirai una sfilza di: "Non cambia un pannolino perché dice che puzzano"; "Di notte? non sente nemmeno piangere... e poi mi chiede perché sono così stanca!?!"; "Perché a te non hanno mai detto: di che ti lamenti, sei stata seduta tutto il giorno ad allattare". Uè, parliamo di Milano, 21mo secolo, non del Medioevo sui monti.
A 41 anni resto incinta di nuovo: per me una sorta di miracolo, per il mio nuovo datore di lavoro evidentemente un problema. A onor del vero per lui sembrano essere un problema tutti i colleghi che ha comprato insieme a me con gli incentivi dello Stato. Un po' come una volta si comprava la Tipo rottamando la Uno: solo che lui voleva comprare tanti Tipi e tenersene solo Uno a lavorare quanto gli altri 14 messi insieme. Questa naturalmente è un'altra storia, che però incrocia la mia, visto che poi me ne sono andata: il lavoro diventa per tutti un inferno e quando inizia la seconda maternità obbligatoria vengo chiamata - cosa assolutamente vietata dalla legge - dalla capa del personale per sapere "quando intendo tornare al lavoro". E il tono, ve lo assicuro, non è premuroso. Peraltro, ricevo la telefonata che sono in sala induzione parto, al che guardo un po' più in basso e dico: "Aspetti che chiedo quando pensa di uscire, così ci regoliamo".
La salsa chili
Con il secondo nato, peraltro, la mia vita diventa come giocare a Lego con le biglie, oltre al fatto che quell'atteggiamento subdolo si è incistato nel mio cervello e non se ne va: se mi sveglio la notte, adesso, non è per i pianti del bebè, bensì per gli incubi da lavoro e così mi ammalo. Per la cronaca: è depressione, ma visto che Fedez, Brad Pitt, Beckham e Bella Hadid non ne hanno ancora parlato, quando ne parlo io sembra ancora "una di quelle scuse che lamenta, ma in fondo non ha niente". E se la mia malattia non è "niente" io devo continuare a fare tutto: allattare, andare all'asilo, al corso di nuoto, a fare la spesa, caricare la lavatrice, seguire la burocrazia... Le mamme non lasciano il lavoro perché non riescono a tenere insieme lavoro e famiglia: le mamme lasciano il lavoro pagato perché il 90% delle volte (a essere ottimisti) devono fare anche mille altri lavori non pagati che sono rimasti appiccicati alla figura della mamma degli anni 40. Oltre naturalmente al lavoro più difficile al mondo, quello di genitore, che - nel sentire comune che ti viene trasmesso - pare sia una cosa che alle madri debba venire automatica...
Comunque io il mio lavoro vorrei continuare a farlo ma mi sento dire che no, certo che no, il part-time non si può. E quindi? Me ne vado. Ecco, è difficile dire che sia proprio una cazzata, perché è difficile lavorare in un posto in cui nessuno sta bene. Però certo, lasciare l'unico elemento di identità in grado di contrastare il totale appiattimento sulla figura di mamma e desperate housewife ha conseguenze pesantissime: in primis, dopo i 40 anni, praticamente tu mandi il cv e chi lo riceve ti ha già messo in fondo alla lista, perché non sei soggetto ad alcun incentivo; poi, almeno temporaneamente, sei in una condizione di inferiorità, se non dipendenza, economica... e fidatevi, c'è sempre qualcuno pronto a sottolinearla e a dire: "Scusa, non posso proprio aiutarti, IO devo lavorare", con il gigantesco sottinteso che "se sei una donna e non hai un lavoro retribuito, allora almeno occupati h24 dei figli e della casa e non rompere più i coglioni, no?". Dunque, visto che stai sempre a pulire la casa e a seguire i figli, intanto la tua professione si evolve senza di te e tu hai sempre meno tempo per restare al passo e trovare un altro lavoro.
Il grappino
E quindi? E quindi, evidentemente come molte donne che conosco, ho dato fondo a tutte le mie energie mentali, anche quando quelle fisiche non mi supportavano, ho fatto i salti mortali da ferma e sono qui a fare grigliate miste per voi e non solo. Ma quando mi chiedono di scrivere pezzi come "44mila mamme si dimettono" non mi stupisco per niente. Mi chiedo solo come mai, noi donne, non ce l'abbiamo ancora fatta a credere in noi stesse, con tutte le fatiche nascoste che dobbiamo sopportare e con tutti i sottintesi che abbiamo dovuto trangugiare con il trentunesimo caffè per restare sveglie. Ci indigniamo e sventoliamo chiavi alle manifestazioni contro il patriarcato solo dopo i femminicidi, che sono una roba orrenda ma "inconcepibile" solo fino a quando non capiamo che la radice è la stessa. Ogni mamma che non lavora è implicitamente per i propri figli (inconsapevoli quanto vuoi da bambini, assolutamente non giustificabili, né perdonabili da adulti) l'emblema di una figura (quella femminile) che piega la sua vita per gli altri. E quindi poi perché le future fidanzate di questi figli non dovrebbero fare altrettanto?
Cara imbruttita e caro imbruttito, non c'è dessert sufficiente per addolcire tutto questo, ma sappi che:
1. esiste il reato di "violenza economica" e sta dalle parti dell'articolo 570 del codice penale (o giù di lì). Una donna che non ha un lavoro retribuito non deve fare la schiava di nessuno, capito?!
2. se ti va, raccontaci se hai affrontato anche anche tu queste situazioni che mal comune non cambia un cazzo, ma almeno se ne parla!
Autrice: Daniela Faggion
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