Dato di fatto: dopo aver sperimentato lo smart working in pandemia quasi nessuno lo vuole più mollare. O almeno, ci si prova, per quanto possibile. Nella City e provincia 1 lavoratore su 6 fa smart working. Dati alla mano, infatti, proprio Milano detiene il record di dipendenti da remoto.
Rispetto alla media nazionale, nel nord Italia questo fenomeno ha preso piede da tempo, ma la percentuale sale soprattutto in Lombardia e in particolare nella zona del capoluogo, come ha analizzato l’Osservatorio Assolombarda-Zucchetti, che ha fatto un check su 900 mila lavoratori di 15 mila aziende del Nord Italia, il 40% delle quali ha sede nelle provincie di Milano, Monza, Lodi e Pavia, area di competenza di Assolombarda. Oh, parlando appunto di lavoro da remoto, a fronte di una media del 13,3% nel Nord Italia, si sale al 16 % nell’area di Assolombarda, al 16,7 nella Città metropolitana e al 17,6 del Comune (nell’Hinterland ci si ferma al 14,8 per cento).
E indovinate qual è il giorno prefe di smart? Ovviamente non poteva che essere il venerdì: in questa giornata si contano il 24% delle ore settimanali di lavoro da remoto. Ma per prolungare ancora il weekend, molti optano per il lunedì come day off dall’ufficio, che si posiziona al terzo posto (19,1% delle ore), oltre al giovedì, che sale al secondo (20,1%). Ci sta.
L'indentikit dello smart worker
Ma qual è il prototipo dello smart worker? Dall’indagine è emerso anche il profilo della persona tipo che lavora senza muoversi da casa: di solito sono lavoratori di grosse aziende (lo studio dichiara che il numero più alto sia tra le imprese con oltre 250 dipendenti) che - fatecelo dire - probabilmente sono anche quelle un po' più evolute. Il classico home worker è anche abbastanza giovane, poco sopra la trentina. È chiaro quindi che l’uso del cosiddetto lavoro agile, aumenta al diminuire dell’età. Secondo i dati, sono i Millennials (16,8%) che si godono più degli altri la libertà fra le mura dicasa, seguiti dalla GenX (13,1%), che oscilla tra chi preferisce il contatto umano e chi non vuole sbatti e comunica solo tramite email; per ultimi si posizionano i Baby boomer (over 55) che, abituati ad un mondo offline, preferiscono risolvere gli scaz*i dal vivo (9,9%).
Il discorso, però, cambia, quando si parla di Gen Z. Solo il 4% dei lavoratori più giovani attualmente sta in smart. "In quella fascia di età sono molti gli occupati in settori e in attività meno compatibili con la modalità del lavoro a distanza, ma soprattutto i neoassunti sono in fase di inserimento, impegnati quindi in attività che richiedono la presenza" chiarisce Andrea Fioni, dell’ufficio studi di Assolombarda. Poi, che ai giovani piaccia lavorare in presenza è da vedere: come vi abbiamo raccontato qualche giorno fa, secondo una recente analisi il 20% dei candidati junior si rifiuta di lavorare nella City a meno che... non gli propongano uno smart working totale.
Fi*a, ambiziosi.
Autrice: Martina Gallazzi
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