Presente Da Vittorio? Dai, il brand di ristoranti sparsi per il globo, che nella City spacca con DaV Milano by Da Vittorio, al primo piano della torre Allianz di City Life e fuori dalla City brilla con il tristellato Da Vittorio a Brusaporto, ad un passo da Bergamo. Insomma, parliamo di top level. Ecco, la famiglia Cerea, quella dietro al brand, ha deciso di volare altissimo e di allearsi con dei soci di lusso che mettano sul piatto un po' di cash.
Ma facciamo un attimo un rewind. Con tutto il carrozzone di imprese nelle mani della famiglia Cerea, tra Bergamo, Milano, Portofino, St. Moritz e pure Shangai, si contano già quasi mille dipendenti. Una storia cominciata negli anni '60 e che ora ha un nuovo obiettivo: diventare i boss totali del fine dining. Certo, non si parte da zero ma da un business già di livello: il loro fatturato viaggia già sui 100 milioni di euro l'anno, ma con questi nuovi possibili soci pronti a investire, puntano a far lievitare quel numerino ancora di più.
In soldoni quindi, cosa vuol dire un’invasione di ristoranti stellati in giro per il globo? Più locali, più dipendenti, più incassi: alla fine è pur sempre tutta una questione di numeri. Per lo sviluppo internazionale del marchio ci vuole infatti un alleato col portafoglio pesante e sembra proprio che la famiglia non voglia perdere l'occasione d'oro per rimanere al passo coi tempi. Certo, non sono disposti a svendersi: "Di certo non essere un fondo di investimento di quelli che operano sul mercato solo per il puro business. L'eventuale partner di minoranza dovrà condividere senza ripensamenti i nostri ideali non negoziabili: la qualità espressa ai massimi livelli e il valore familiare" ha confermato al Corriere Enrico Cerea, il primogenito dei cinque figli di Vittorio e Bruna.
La situa, per la ristorazione, non è iddiliaca ma i Cerea ci credono comunque. "Il momento economico non favorevole ha ridotto il potere di acquisto di molte persone, quindi chiaro che il calo di frequentazione sia diffuso e generalizzato" ha spiegato Enrico nell'intervista, dando però anche una certa responsabilità agli stessi ristoranti gourmet che hanno fatto scelte sbagliate. "Prendo ad esempio la scelta di proporre menu degustazione praticamente obbligati per sedute gastronomiche più didattiche che golose, che corrispondono all’ego di chi le propone senza mettersi nei panni di chi le riceve, che finiscono per non creare gioia e condivisione. Ecco, noi ragioniamo al contrario: vogliamo che gli ospiti che si siedono alle nostre tavole si divertano, si sentano coccolati e gratificati da un servizio che li metta a proprio agio e da una cucina che soddisfi i gusti e le predilezioni personali."
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