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Editorial
mango

Due fratelli, un paio di jeans e un mistero. Sembra il remake di un vecchio film da teenager, ma è la vera storia di Isak e Nahman Andic che nel 1984 fondano a Barcellona la Punto Fa, S.L. Se questo nome non vi dice nulla, tra poco lo farà. I due bro arrivano in Spagna dalla Turchia appena adolescenti, ma passa poco tempo prima che inizino a farsi conoscere. Sotto il nome di Isak Jeans vendono magliette, giacche e jeans negli store catalani, distinguendosi dalle proposte dell’epoca per le stampe a fiori, i colori vivaci e la qualità dei tessuti. Una vera rivoluzione che piace molto e permette, nel 1984, l’apertura di un negozio fisico nel centralissimo Passeig de Gracia sotto il nome di MANGO.

E qui inizia il mistero. Sul sito di Mango, nella sezione dedicata alla storia del brand, Nahman non viene mai nominato. Sembra che l’unico ad aver avviato l’attività sia Isak, mentre del fratello maggiore nada. Ci teniamo qui la prima stranezza e andiamo avanti.

In meno di 10 anni Mango non solo continua a crescere sul mercato nazionale, ma inizia ad espandere i propri confini. Nel 1993 apre i primi store in Portogallo e punta poi all’Asia, con nuovi negozi a Singapore e Taiwan, per poi raggiungere la Cina. Nel 1997 il fatturato estero supera quello spagnolo. E non abbiamo ancora parlato dell’e-commerce. Mango è tra i primi a puntare sull’online nel 2000 e i risultati si vedono subito.

Se pensate però che l’apertura fisica di altri negozi rallenti… think again. Mango arriva in Italia (era ora!) nel 2001 e poi approda anche nella lontana Australia l’anno successivo. Arrivano in seguito le linee uomo, kids e home, ma la sostenibilità è uno dei motivi di vanto del brand, che crea delle linee e dei progetti dedicati. Per un fast fashion sembra un cortocircuito, ma ci tengono sul serio.

C’è poi anche la controversa parentesi della linea Violeta, pensata per le plus size, ma magari la prossima volta.

Intanto, che fa Nahman? Se lo chiedono tutti in sala. Su di lui si sa poco o niente. Nel 2013 esce però la notizia che il vicepresidente e consigliere di Mango, il nostro Nahman appunto, se ne va in pensione dopo 40 anni nel settore tessile. Il suo posto viene preso da Daniel López, nella compagnia dal 1996 e ad oggi capo della divisione vendite e dell’ufficio franchise. Anche di questo non c’è traccia sul sito di Mango.

Altro colpo di scena è che appena tre anni dopo si parla di un ritorno di Nahman nel suo vecchio ruolo. Più o meno. Il nostro fratellone viene messo alla gestione ed espansione di Mango in due Paesi chiave per il brand: Spagna e Turchia. Si parla del 2015, anno in cui viene presentata anche una nuova strategia di crescita che si basa "sui megastore e su un sistema di produzione che garantisce il rinnovamento costante dei prodotti".

E chi dice queste parole? David Lopez, come vicepresidente esecutivo dell’azienda. Ho mal di testa, lo ammetto. E ho letto il Silmarillion di Tolkien.

Nonostante la confusione (mia) sulla figura di Nahman, Mango chiude l’anno con vendite in crescita del 15,3% per 2,32 miliardi di euro. Quindi alla fine, se i conti tornano, tutto bene no?

Neanche l’anno nero della pandemia frena la storia di successo di Mango, che celebra nel 2022 i suoi 30 anni di espansione nel mercato estero e si regala un flagship store sulla 5th Avenue a New York (perché anche voi non vi regalate un negozio in queste occasioni?). Ah, sì, fa anche il suo anno record di fatturato con una crescita del 20,3% a 2,69 miliardi di euro.

Non male, ma per gli anni successivi si impostano obiettivi ancora più ambiziosi: superare i 4 miliardi entro il 2026. E sembra che tutto vada per il meglio.

Nel 2023, infatti, Mango batte il proprio primato di vendite e chiude l’anno con un fatturato di 3,1 miliardi di euro. Nell’anno del 40° anniversario continua a veleggiare senza problemi con segno positivo, inaugurando oltre 260 nuovi negozi.

A caratterizzare Mango, è in particolar modo la sua duplice natura di fast fashion e tendenza alla sostenibilità. Al momento Mango si porta a casa un dignitoso 41-50% nel Fashion Transparency Index. Tradotto: non saranno ancora dei santi, ma rispetto alla concorrenza fanno vedere qualcosina in più. Tant’è che nel 2022 sono pure entrati nella Top 10 dei brand più trasparenti dell’anno. Mica male per uno che fa fast fashion. Detto questo, non facciamoci troppe illusioni: sempre nella sezione "Transparency", si legge che le oltre 4.000 fabbriche affiliate al marchio hanno sfornato 115 milioni di capi in un anno. Avete letto bene: centoquindici milioni. Altro che capsule collection... qui si va di produzione industriale a livelli da record mondiale.

Insomma, sì alla trasparenza, ma con 9 zeri dietro.

Ma a dicembre arriva improvvisa la morte del fondatore e proprietario di Mango. Isak Andic è vittima di un incidente durante un’escursione con la famiglia. Neanche la Disney poteva pensare a una morte così triste… e che rende ancora più amari i numeri di chiusura anno che non ha avuto la possibilità di vedere: 3,3 miliardi di euro, anche grazie all’attenzione data al mercato americano e al canale online che ha rappresentato un terzo delle vendite.

Ancora presto per capire se basterà la direzione salda del CEO Toni Ruiz e il piano 4E (Elevate, Expand, Earn e Empower) o se ci saranno delle conseguenze per il 2025.

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