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Editorial
valentinapalange

Che in Italia avessimo un problema col caffè, è cosa nota. Intanto, costa una fucilata, inoltre la produzione è sempre più insostenibile. Per gli imbruttiti più distratti, questo non è poi un problema: il caffè alla macchinetta o quello al bar dal retrogusto bruciacchiato rappresenteranno sempre il boost di energia vitale fondamentale per portare avanti la giornata, ma se ci fermiamo un attimo a riflettere... voi lo sapete cosa stiamo bevendo tutti i giorni più volte al giorno?

Valentina Palange è una content creator e divulgatrice della cultura del caffè, oltre che ltalian AeroPress Champion 2024. Insomma: una che di caffè ne sa. Bè, la Vale ha appena scritto un libro in cui l'ha tocca pianissimo: "Il caffé in Italia fa schifo". Whaaat? Una provocazione, probabilmente, che però si promette di analizzare una questione molto complessa: come riconoscere se stiamo bevendo un prodotto di qualità, o una merda.

Visto che per noi - ovviamente - il caffè è TUTTO, abbiamo fatto una call a Valentina per farci spiegare due robe. But first: una bio al volo.

Tutto è cominciato nel 2014, un po’ per caso e un po’ per necessità: mi sono ritrovata a vendere caffè e, inaspettatamente, me ne sono innamorata. La cosa più curiosa? Fino a quel momento non lo bevevo nemmeno. È bastata una tazzina per aprirmi le porte di un mondo che non sapevo nemmeno esistesse. Ho scoperto che il caffè non è uno solo, ma ne esistono tantissimi, di qualità molto diverse: da quelle più pregiate a quelle decisamente meno. Dieci anni dopo ho vinto il campionato italiano di AeroPress - un metodo di estrazione relativamente recente - ma quella è stata una passione nata fin da subito. L’ho amato dal primo utilizzo: è semplice, pratico e fa un caffè che può ricordare molto quello della moka.

Come siamo messi - in Italia - in fatto di caffè di qualità? Dal titolo del tuo libro, sembra non benissimo.

Eh siamo messi maluccio, per la maggior parte nei bar si beve un caffè amaro e bruciato. Questo dipende sia dalla qualità stessa del caffè, e quindi dalle torrefazioni che selezionano e tostano un caffè molto mediocre purtroppo, e sia dalla preparazione del barista o della barista che nella maggior parte dei casi lascia a desiderare.

E a Milano la situa è uguale, meglio, peggio?

A Milano la situazione è simile, se non peggiore: per una città che si vanta di essere super internazionale, le caffetterie specialty o di buona qualità si contano col contagocce. Un paradosso, no?

Ma perché in Italia - paese pure noto per il suo caffè - fa così schifo?

I motivi sono tanti, soprattutto culturali. In Italia, come consumatori, facciamo fatica a riconoscere un caffè buono da uno mediocre. Il motivo? Per anni, la grande distribuzione e le torrefazioni più diffuse ci hanno abituati a uno standard basso, spacciandolo per eccellenza. Siamo ancora convinti che un espresso debba essere amaro, senza sapere che l’amarezza, in realtà, dovrebbe essere solo una sfumatura sul finale e che la dolcezza dovrebbe essere preponderante e che soprattutto l'acidità non è una nota negativa. Usiamo lo zucchero come metro di giudizio: se "scende piano" attraverso la crema allora significa che il caffè è buono. Ma la verità è che un buon caffè non ha bisogno di zucchero. La nostra tradizione ha generato una cultura fatta di falsi miti: che ci sta pure, fa parte della nostra storia. Il problema è che non lo sappiamo e prendiamo tutto come per vero senza mai evolverci. 

Dicevi che c'entra anche la scarsa preparazione dei baristi...

Assolutamente sì: la scarsa preparazione del barista incide - eccome - sulla qualità del caffè servito. Il problema è duplice. Da una parte ci sono molti baristi convinti di sapere tutto, senza però aver mai studiato davvero. Dall’altra, ci sono professionisti preparatissimi, che hanno investito tempo e soldi nella propria formazione, ma che spesso non vengono né capiti né valorizzati. Nel mio libro ho dedicato più di un capitolo a questa figura, che in Italia fatica ancora a essere riconosciuta come una vera e propria professione. Quando inizieremo a interpretarlo diversamente e non come un fallito o fallita che nella vita non sapendo che fare ha iniziato a fare il o la barista?

E noi cosa possiamo fare per capire se stiamo bevendo un caffé buono o una cagata?

Prima di tutto, bisognerebbe osservare le attrezzature e la situazione al bancone: è tutto pulito? La macchina espresso, il macinacaffè, il banco di lavoro? Questi sono segnali importanti. Poi, volendo, si potrebbero fare anche due domande al barista per capire se sa davvero di cosa parla. Un caffè di qualità medio-alta, infatti, non ha odore di gomma bruciata e non è amaro. Anche la crema può dire molto: nei caffè migliori è sottile, vellutata, non spumosa e "gonfia" come quella a cui siamo abituati nei bar. È un vero e proprio ribaltamento delle nostre convinzioni - e proprio per questo è difficile da accettare.

Il prezzo del caffè sta aumentando palesemente: siamo passati da un euro fino a ormai 1,50 anche per un semplice espresso. Che ne pensi?

In Italia il caffè costa ancora troppo poco. In molti Paesi europei è già normale pagarlo 2,50 euro - e non è uno scandalo, anzi: è il segno che il caffè non va dato per scontato. È un bene prezioso, e come tale andrebbe trattato.
Da noi, il prezzo salirà sempre di più. La domanda globale è in forte crescita, mentre l’offerta sta diminuendo, anche a causa del cambiamento climatico. Questo significa che presto anche i caffè mediocri costeranno quasi quanto gli specialty coffee, cioè i caffè di qualità superiore. Per questo è fondamentale iniziare a informarci: per bere meglio, in modo più consapevole - e pagare il giusto, per qualcosa che ha davvero valore.

In Italia però sta aumentando l'interesse nei confronti dello speciality coffee, è un buon segno?

Certo è buon segno. Le caffetterie specialty sono diventate luoghi d'incontro, proprio come l'aperitivo. Sono molto apprezzate dalle nuove generazioni e anche dai millenial come me.

Pare che a causa dei cambi di temperatura, di siccità prolungate a cui cedono il passo bombe d’acqua, circa metà dei terreni più adatti a coltivare il caffè diventerà inservibile entro il 2050 e dunque il caffè diventerà un prodotto di nicchia, difficile da coltivare e quindi estremamente costoso.Tanto che si iniziano a cercare delle alternative, come il caffè da semi noccioli di datteri. La situazione è così pesante, secondo te?

Non posso predire così tanto il futuro ma penso che ci saranno degli approcci più "salutari" nei confronti delle bevande. Il caffè rientra tra questi, solo che deve essere realmente di buona qualità e non tostato così scuro come lo beviamo noi. Io credo nella frontiera del decaffeinato - ce ne saranno sempre di più buoni  - e del caffè coltivato in serra: per quanto riguarda il cambiamento climatico potrebbe aiutare senz'altro.

Per il resto dubito andrà via, anche perché diventerei imbrutittissima!

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