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In Italia il 40% dei dipendenti vuole cambiare lavoro (perché lo stipendio fa cagare, ma non solo)

Gira che ti rigira il motivo principale è guadagnare di più. Lo ha ammesso il 39% dei "cambia-poltrona", seguiti da quelli che cercavano un migliore work-live balance

Money money money… Niente da fare, quando si parla di lavoro e di cambiamenti di poltrone il motivo principale è sempre il grano. Lo sa bene quel 13% della popolazione lavorativa (si può dire?!) in Italia che ha cambiato lavoro negli ultimi sei mesi. Un discreto tasso di mobilità in un periodo economico a dir poco interlocutorio… e si vede che, dubbio per dubbio, hanno deciso di lanciarsi e non sono gli unici: un altro 23% di lavoratori ha messo in programma un cambio di passo da qui a fine anno. A dirlo è la Randstad Employer Brand Research 2025.

Ovviamente, le motivazioni sono tante e immaginiamo che in molti abbiano voluto liberarsi di un capo rompicoglioni o di un gruppo di colleghi tossico, ma gira che ti rigira il motivo principale è guadagnare di più. Lo ha ammesso il 39% dei “cambia-poltrona”, seguiti da quelli che cercavano un migliore work-live balance (35%) e infine dagli immancabili secchioni a caccia di “crescita” (25%).

Secondo Randstad, in generale, meno della metà dei dipendenti ritiene adeguato il proprio stipendio, dato che si incrocia con una diversa mobilità generazionale. I Gen Z cambiano lavoro tre volte più spesso dei Boomer (l’abbiamo scritto tante volte che sono irrimediabilmente inquieti! Il posto fisso per loro è roba da vecchi bacucchi, quel che importa davvero è imparare e partecipare: naturalmente vogliono essere pagati bene, ma per loro la voce “diversity & inclusion” conta molto più che per altri nella scelta del nuovo posto di lavoro.

Che il periodo sia “di mossa”, però lo dice il fatto che anche quelli apparentemente più scazzati e disillusi (quelli che all’aperitivo fanno finta che il lavoro sia solo una parentesi fra un Martini e l’altro, per intenderci) vogliano cambiare lavoro: il 39% dei cosiddetti “disimpegnati” punta a lasciare il posto attuale, mentre la percentuale scende al 20% dei cosiddetti “motivati”, probabilmente più propensi a crederci e a provarci più a lungo. 

Comunque sia, fare il datore di lavoro negli anni Venti non è per niente facile. Dai un compito e subito c’è qualcuno che lo vuole svolgere da remoto

Autrice: Daniela Faggion

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